Non amo granché cullarmi nei ricordi e in genere non mi è necessario dire “io c’ero”. Ciò nonostante, ci sono alcune occasioni in cui si accende una differenza, e questo avviene quando la memoria non muove soltanto meccanismi di nostalgia ma bensì di orgoglio dandoti la percezione di appartenere ad una storia.
Proprio leggendo i giornali di questi giorni che ricordano come “Umbria Jazz” compia quarant’anni, dico allora senza esitazione che a quell’edizione numero “uno” in piazza a Perugia, “io c’ero!”.
Avevo vent’anni tondi, e con me c’era Paolino, allora davvero “paolino”, anni 12 all’anagrafe.
Eravamo partiti prestissimo da Torino in autostop. Anche questo, erano altri tempi, si viveva così.
Allora la musica era fascino di suoni e di notizie, apriva spazi alla fantasia ma favoriva anche una nuova e più ampia conoscenza del mondo.
Da qualche mese sul giradischi, che all’epoca si usava ancora, era stabile un 33 giri di un gruppo, i Weather Report. Erano una rivoluzione. Univano il jazz al rock. Altri gruppi l’avevano già fatto, come i Chicago o i Blood Sweat & Tears, ma nel solco delle grandi orchestre jazz americane. I Weather Report erano assolutamente più sperimentali, con suoni spaziali quasi pinkfloydiani e nella scia di Miles Davis con cui alcuni di loro avevano lavorato. Mittleuropei come il loro leader Josef Zawinul e africani al tempo stesso grazie alla presenza di Wayne Sorter. Allora al basso era in formazione il bravissimo Miroslav Vitous che sarebbe poi stato rimpiazzato da Jaco Pastorius, uno capace di produrre una vera rivoluzione nell’uso di quello strumento.
Era un’occasione da non mancare. Così nella meravigliosa cornice dell’antica piazza di Perugia, tra lo scrosciare dell’acqua della fontana con le percussioni di Don Um Romao e Eric Gravatt, partirono le note di “Boogie Woogie Walz” che i Weather Report non avevano ancora inciso. Il loro terzo album sarebbe uscito alcuni mesi dopo, e fu brivido.
Un brivido così intenso che con orgoglio 40 anni dopo mi lascia sfuggire un “io c’ero”, tanto è presente il suo straordinario ricordo, che è il ricordo di una stagione dove le città e le piazze si aprivano all’incontro e prevaleva l’idea di una socialità collettiva che non era come oggi consumismo e affare ma qualità della vita e vista dei luoghi.
Una lezione che abbiamo poi, come Assemblea Teatro, portato in tante località del mondo.
Renzo Sicco