“Più di mille giovedì”, ricordando i Desaparecidos
23 dicembre, 2021 - 15:44
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PIÙ DI MILLE GIOVEDÌ
ricordando i Desaparecidos
uno spettacolo teatrale per la giornata della Dichiarazione universale dei diritti umani
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Il 9 dicembre 2021, alle ore 17, nell’Aula 32 di Palazzo Nuovo (via Sant’Ottavio 20), nell’ambito del Corso di Storia contemporanea (magistrale) del prof. Marco Novarino – inserito nel Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne – Renzo Sicco, regista, scrittore e direttore di Assemblea Teatro, è stato il docente ospite che ha condotto un incontro-lezione nella giornata del 9 dicembre sul tema dei diritti umani e la storia delle Madres de Plaza de Mayo negli anni della dittatura argentina.
Nell’ambito dell’evento è stata presentata la registrazione video dello spettacolo teatrale “Più di mille giovedì”.
Con questa incontro si è voluto anche ricordare il 10 dicembre 1948, data della proclamazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, e il rapimento e la successiva esecuzione, avvenuta l’8 dicembre 1977 di Azucena Villaflor, fondatrice delle Madres de Plaza de Mayo, di altre due madri fondatrici, due suore francesi e sette attivisti che si occupavano di difesa dei diritti umani. I corpi di alcuni di questi “desaparecidos” vennero ritrovati giorni dopo, trascinati dalle onde marine, sulle spiagge di Mar del Plata, vittime dei tristemente noti “vuelos de la muerte”.
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Assemblea Teatro
PIÙ DI MILLE GIOVEDÌ
La scheda
“A me piaceva ballare e sognare. Amavo mio marito, adoravo mia figlia. Amavo molto anche questo Paese”.
Con queste parole, dentro una stanza di una casa qualunque, Gisella Bein apre lo spettacolo forse più intenso della sua carriera di attrice. Impersonare una delle Madri di Plaza de Mayo non è facile: troppo crudele è il dramma di queste donne a cui sono stati strappati figli che non sono mai più riapparsi, che non hanno lasciato traccia, un segno, un corpo, una tomba su cui piangere. E troppo vivo è quel dramma che coinvolge non solo quelle donne, non solo un Paese, ma la coscienza del mondo civile, che non può fingere che si tratti di una storia di ordinaria follia. Troppe sono le implicazioni che inchiodano Istituzioni, Governi, la stessa Chiesa Cattolica, alle loro responsabilità. Tutto questo e molto altro è “Più di mille giovedì”. E tutto questo e molto altro è il materiale che si è dovuto utilizzare nel mettere in scena questo lavoro, accompagnati dalla consapevolezza del fatto che la storia delle Madres de Plaza de Mayo è una ferita tuttora aperta. Sulla base di questa convinzione e sostenuti da un testo coraggioso e poetico, è stato realizzato uno spettacolo di grande impatto emotivo.
La vicenda è quella di una Madre, ma è emblematica del dramma che tutte le donne di Plaza de Mayo hanno deciso di condividere, perché ciascuna di esse è madre di tutti i desaparecidos, in una commovente coralità che è stata la loro forza negli anni bui della dittatura.
Lo spettacolo, che ha debuttato nel luglio 2000, è stata la prima opera teatrale rappresentata presso la Camera dei Deputati in Italia. Successivamente è stato rappresentato in Cile, nel Museo della Memoria di Villa Grimaldi, e in altri ex centri clandestini di detenzione a Cordoba, Rosario e La Plata in Argentina e per due volte in Plaza de Mayo e nella stessa ESMA a Buenos Aires.
Accade alle volte che il Teatro sappia confrontarsi con la Storia.
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Università degli Studi di Torino
Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne
DICHIARAZIONE
Si dichiara che il dott. Renzo Sicco, direttore artistico di Assemblea Teatro, ha condotto, nell’ambito del Corso di Storia contemporanea (magistrale) del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne, un incontro-lezione nella giornata del 9 dicembre sul tema dei diritti umani e la storia delle Madres de Plaza de Mayo negli anni della dittatura argentina.
Durante l’evento è stata proiettato lo spettacolo “Più di mille giovedì” e la lezione si è svolta sia in presenza sia tramite un collegamento da remoto, utilizzando la piattaforma Webex, con la partecipazione di oltre cinquanta studentesse e studenti.
Si allegano i giudizi espressi da alcune partecipanti, riprodotti anonimi per questioni di privacy.
Marco Novarino
Docente del Corso
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LE TESTIMONIANZE DELLE STUDENTESSE E DEGLI STUDENTI CHE HANNO PARTECIPATO ALLA LEZIONE DI RENZO SICCO – Dichiarazioni raccolte dal prof. Marco Novarino
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Avrei avuto piacere di presentarle, prima, cosa mi ha suscitato la visione dello spettacolo, purtroppo però a parole faccio fatica ad esprimere le mie emozioni. Ho sempre pensato che per provare quanto meno ad immaginare il dolore che si prova in una determinata situazione, bisogna pensare come se la si stesse vivendo sulla propria pelle. Sono figlia unica, potevo essere io Maria Teresa, poteva essere mio padre l’uomo che non avrebbe retto la mia desaparición, poteva essere mia madre a trovarsi a combattere per darmi giustizia. Ho pensato a ciò ed ho sentito il vuoto dentro di me: perché l’uomo progetta il male? Perché 30 mila vite sono state spezzate così?
Nel sentire il monologo, era impossibile distogliere l’attenzione, mi è sorta rabbia. Sentivo la voce di quella madre che urlava e pensavo allo strazio che ha dilaniato intere generazioni.
Non so spiegarle esattamente cosa mi ha lasciato questo spettacolo, ma sento la responsabilità di vivere i miei 23 anni con coscienza del mondo e di non dimenticare questa storia, di divulgarla alle persone che conosco perché non resti un fatto scritto sui libri (anzi spesso nemmeno trattato in questi ultimi). Grazie a lei e al registra per averci dato questa possibilità, per averci fatto conoscere ciò che è stato essere ragazzi della nostra età in Argentina negli anni della dittatura militare. Grazie per aver arricchito le nostre menti e i nostri cuori.
A.G.
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C’è nella caparbia resistenza di queste voci un qualcosa che mi rimanda a scenari primordiali: un qualcosa che intimamente conosco, ma non comprendo. È un fil rouge che collega i grembi vuoti delle madri all’assente ventre dei loro figli, sfidando il regime, il segreto di Stato, il pubblico ludibrio, la morte.
Dinnanzi a storie come queste è facile indugiare in processi d’immedesimazione, arrivando addirittura a paragonarsi alle vittime, secondo criteri di affiliazione generazionale, percorsi di vita comune o di orientamento politico. Tuttavia, è un altro tipo di pensiero a pervadermi: non è il vuoto lasciato dagli scomparsi ad angosciarmi, ma la narrazione che di questo vuoto viene fatta da chi resta.
“Se dovessi scomparire domani, cosa ti lasceresti dietro?” A lacerarmi sarebbe il pensiero del dolore recato a mia madre, un dolore dettato da un’improvvisa e ingiustificata scomparsa -la mia- che, ne sono certa, finirebbe con il consumarla, giorno dopo giorno. Penso che il lutto di un figlio implichi in sé un coefficiente di moltiplicazione: muore anche chi sopravvive, lentamente, senza darsi mai pace.
Non mi ero mai davvero soffermata sulla potenza rivoluzionaria di una coesione di solitudini e lutti. Dove non arrivano libri, idee, scioperi e lotte di classe, si erge forte il dolore di una madre, al quale fanno eco centinaia di volti e nomi. Vi è in questa resistenza qualcosa di eroico: una spinta d’aggregazione, una granitica resilienza, e la tipica attitudine di chi nulla ha più da perdere. Un’attitudine che mi ritrovo a contemplare sgomenta, come chi osserva qualcosa di monolitico, più grande di sé, in estatico silenzio, a tratti senza nemmeno capire.
In questo coro di madri e nonne è la mia anima di figlia e nipote a rispondere. Mi chiedo cosa voglia dire essere madre, e se davvero dalla maternità possa derivare una tale forza, e quale sia il discrimine che separa la speranza dal desiderio di giustizia. Per questo loro coraggio, per quelle centinaia di fazzoletti bianchi che si stringono invitando gli assassini dei figli a far fuoco su di loro per disperderle, vorrei riscrivere un epilogo migliore, che preveda una giustizia e una piccola parentesi di pace. Silenzio, omissione, progressivo oblio. Lo scorrere inesorabile del tempo, la somma dei loro anni, la vecchiaia che chiude i loro occhi su questo mondo, ancora privo di risposte. Così pare chiudersi il sipario su questa vicenda, eroica ed inconclusa. Eppure, è un fuoco che ancora non è spento, quello che arde in Plaza de Mayo: una dimensione eroica dell’umano, un’archeologia dell’assenza, un elogio al persistere della memoria e del suo operare su questi nostri destini.
Volendo concludere questa somma di pensieri sparsi: ringraziare voglio questi tempi duri per gli individui che creano. Per gli atti di tenace opposizione, per ricordarmi quanto l’essere umano può perdurare se mosso da una giusta causa e dall’amore più puro. Per la forza delle madri, per quel filo che le unisce ai figli al di là di ogni assenza. Per questi tenaci atti di resistenza alla rassegnazione, poiché da essa scaturisce solo oblio.
A.M.
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Impressioni su “Più di mille giovedì”: così difficile traferirle nero su bianco quando sono così potenti, così profonde ed intime.
Gisella Bein sul palco è la personificazione del dolore, della frustrazione di una donna che combatte per il proprio figlio, una madre che perde TUTTO: perde un figlio, perde la serenità, perde la fiducia per le istituzioni. Ma non perde la dignità. Quella dignità che ritroviamo nel suo grido silenzioso, nelle sue lacrime asciutte, nella sua elegante compostezza…
Non sono madre, ma quest’opera mi ha provocato un profondo senso di smarrimento e stordimento e, pur ritenendo che questo sia solo in piccola parte il dolore provato dalla madre di un desaparecido, i sentimenti e le emozioni sono incredibilmente vividi e tangibili.
La forza del teatro, la forza di un ottimo libro che diventa un’ottima opera teatrale incredibilmente reale e coinvolgente. Ed in questo Renzo Sicco, per me, ha vinto: è riuscito a coinvolgere, emozionare e ci ha accompagnato in un viaggio fatto anche di immedesimazione ed empatia. Immedesimazione in un’emozione vortiginosa fatta di sfumature violente e stridenti….
Un colore su tutti mi rimane dentro: il ROSSO. Rosso come i capelli di Gisella Bein, rosso come il sangue dei figli “scomparsi”, rosso come l’amore di una madre per i propri figli, rosso come la Casa Rosada che ogni giovedì osserva le Madres riunite in Plaza de Mayo.
Grazie Renzo Sicco per averci regalato questa incredibile esperienza.
Grazie al Professor Novarino per averla resa possibile.
A.P.
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Innanzitutto, le chiedo scusa per il ritardo, ma ho avuto bisogno di un po’ di tempo per elaborare le informazioni e soprattutto le emozioni.
Comincio col dirle che sono rimasta profondamente scossa dall’argomento, nonostante avessi già sentito parlare dello spettacolo teatrale, perché l’anno scorso mia sorella ha seguito il suo corso in triennale ed è rimasta molto colpita dalla proiezione. In tutta onestà le confesso però di non aver dato molto peso al racconto appassionato che ne aveva fatto la sera a tavola, presa com’ero dalle mie scadenze e dalla mia carriera universitaria, e di aver ascoltato distrattamente.
Pensavo che il problema non mi toccasse direttamente.
A un anno di distanza, mi rendo conto di quanto invece mi sbagliassi, anche alla luce degli sconvolgimenti che la mia vita ha subito nell’ultimo periodo.
Purtroppo, poco più di due mesi fa mio papà ci ha lasciato improvvisamente.
Per questo le confesso di essermi profondamente commossa, immedesimandomi in quei bambini e ragazzi che si sono visti sottrarre di punto in bianco i genitori, e forse capisco un po’ anche quei genitori che non hanno mai più ritrovato i figli.
Certo, perdere un genitore è “naturale”, è la vita, mentre non si può dire la stessa cosa di un figlio; tuttavia, in entrambi i casi non si è mai preparati.
Il dolore che provo io è per certi aspetti diverso da quello di quelle famiglie, perché loro non avevano e non hanno tutt’ora una tomba su cui piangere, una lapide che dimostri loro che devono farsene una ragione, che quella persona non c’è più.
La speranza, lei sì che è l’ultima a morire, ma in ogni caso la vita viene completamente sconvolta, e il timore, lecito oserei dire, è di non riuscire a riprendersi più.
Ma se anche solo un briciolo di giustizia può essere fatta, bisogna continuare a combattere, aggrappandosi con tutte le proprie forze a quel barlume. Le madri non si sono arrese neppure davanti all’evidenza, e hanno continuato ad urlare al mondo il loro dolore. Forse perché il dolore, se condiviso, si attenua.
È proprio per questo motivo che il grido delle madri, e delle famiglie toccate da questo tragico evento, non deve spegnersi, ma dev’essere amplificato, deve risuonare a gran voce. Aiutiamole a portare il macigno del dolore, dividiamo con loro il suo peso anche quando non ci saranno più.
Quindi grazie a lei e a Renzo Sicco per aver fatto quella promessa tanti anni fa.
Grazie soprattutto per averla mantenuta. Ha tutta la mia ammirazione, e nonostante lei abbia affermato che quello che fa è solo una goccia nel mare, le assicuro che talvolta questa goccia, seppur nel suo piccolo, può fare la differenza.
È stato un onore seguire il suo corso.
Le chiedo scusa se mi sono lasciata trasportare un po’ dalle emozioni, ma il viaggio in treno è lungo e ho dato libero corso ai pensieri.
C.F.
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Le scrivo prima di tutto ringraziandoLa per averci dato la possibilità di visionare questo spettacolo teatrale, veramente molto toccante ed espressivo e bravissima l’attrice che ha recitato, ma non solo. A me ha colpito profondamente quando Renzo Sicco ha raccontato di quando lo spettacolo è stato riprodotto in Argentina e una delle madri di Plaza de Mayo è salita sul palco donando il suo fazzoletto bianco all’attrice, dicendole che non era solo un’attrice ma era una di loro.
Anche l’episodio che Lei ha vissuto sulla Sua pelle con Paula Eva mi ha emozionata, così come la ragazza che non aveva mai avuto un papà e che adottò Renzo Sicco quando si trovava a Torino (mi pare si chiamasse Paula anche lei). Sono storie che d’ora in avanti conserverò preziosamente nella mia memoria e ne farò tesoro, perché meritano di essere conosciute e tramandate. Professore, Le scrivo con il cuore in mano perché ci tenevo tanto, e colgo l’occasione per ringraziarLa davvero, per tutto il sapere che ci sta trasmettendo e la grinta, la passione e l’emozione che ci mette in ogni singola lezione.
Io penso che se ci fossero più persone come Lei, vivremmo sicuramente in un mondo migliore.
C.P.
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Le scrivo la seguente mail non per obbligo, come stesso lei ci ha detto, ma perché sento che farlo sia la cosa giusta. Per prima cosa però, mi sento in dovere di ringraziarla perché credo che, nel mio seppur breve percorso universitario, non ho trovato quasi nessun docente metterci così tanto cuore ed impegno in un corso. Sa, di solito è tutto così schematico, tutto già programmato per filo e per segno e non si ha spesso l’occasione di fare parte di qualcosa di diverso, di nuovo. Sono stata molto colpita già dal primo momento in cui ha proposto la visione del film in merito all’argomento dei genocidi, non avevo mai visto “La masseria delle allodole” e dopo, ad essere sincera non ci ho quasi dormito la notte, ma non per le scene cruente (sapesse a cosa siamo abituati tra video giochi e serie tv) ma perché mi chiedevo “di quante vicende, traumi ed eventi del genere, non sono a conoscenza. Ma soprattutto perché?”. Mi ha un po’ devastato la mia ignoranza, perché solo così si può chiamare.
Per quanto riguarda ciò che abbiamo affrontato la scorsa settimana e anche questa settimana, mi ha moralmente distrutta. La vicenda dei desaparecidos non mi era del tutto estranea però mi sono vergognata di quanti dettagli non fossi a conoscenza. Nonostante fossi da remoto, credo di non aver staccato nemmeno per un secondo gli occhi dallo schermo. Ho avuto la fortuna che mio padre era tornato prima da lavoro quel giorno e gli ho proposto di vedere lo spettacolo insieme. Mio padre ha 61 anni, ed era soltanto un ragazzo quando accadde tale atrocità ma in Italia se ne parlava, se ne parlava e come… Quando lo spettacolo è finito è stato difficile parlarci o chiederci se ci fosse piaciuto o meno, era difficile anche solo guardarsi in faccia. È come se ci si sentisse sempre un po’ colpevoli quando accadono tali atrocità seppur non ci riguardano direttamente, considerato che io non ero nemmeno venuta al mondo in quegli anni. Ci si sente colpevoli di far parte della stessa “specie”. Ci si sente colpevoli nel pensare che miei coetanei, adolescenti, bambini e addirittura neonati non abbiano potuto avere la fortuna che abbiamo avuto noi al giorno d’oggi. Io la voglio ancora ringraziare, perché seppur siano argomenti forti, davvero forti, sono necessari. È giusto ricordare tutto, anche la morte, soprattutto quando è una morte insensata ed ingiustificata. E chiedersi sempre perché. Sin dalle elementari, quando si hanno i primi approcci con la storia ci viene sempre detto che la storia è una parte importante delle nostre vite, che serve per non farci ripetere gli e(o)rrori del passato. Ma sarà davvero così? Anno dopo anno, credo di star perdendo un po’ le speranze.
Tutto questo, per dirle ancora grazie.
C.V.
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Sono una ragazza che difficilmente si emoziona, e quando capita cerco di non farmi vedere dagli altri perché ammetto che provo un po’ di vergogna, ma purtroppo è il mio carattere ad essere così. Ma invece giovedì per la prima volta una lacrima mi è scesa… ad un certo punto mi sembrava di sentire il dolore… ma quello con la D maiuscola, provato da queste madri. Un Dolore che ti lacera da dentro e che ti toglie il fiato. Mi sentivo un peso sul petto enorme, ed io di teatro ci capisco ben poco… Davvero complimenti al regista e all’attrice. Riassumere il tutto con un’unica parola si può fare: BRIVIDI:
C.Z.
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Ho a lungo pensato se inviare un mio personale commento sullo spettacolo “Più di mille giovedì”, poiché è stata un’esperienza talmente impattante che mi ha portato a pormi delle domande: ho il diritto di provare tristezza, rabbia, delusione nei confronti di una tragedia di questa portata? E soprattutto, esternare questi sentimenti è rispettoso per le vittime dirette e collaterali di un dramma che non mi appartiene? Sono giunta alla conclusione che dare la propria opinione sia in ogni caso un atto di consapevolezza verso un fenomeno che è esistito, e che, a prescindere delle emozioni che questo può suscitare, il ricordo è lo strumento con il quale è possibile strappare all’oblio le vite di quelle 30 mila persone e far si che nessuno dimentichi. Dello spettacolo ricorderò l’incredibile prova dell’attrice Gisella Bein, non solo per l’evidente bravura tecnica anche agli occhi di una persona come me che frequenta saltuariamente il teatro, ma soprattutto per la sua capacità di restituire dignità al personaggio e a ciò che esso rappresenta, quasi come se lei stessa avesse subito quel dramma in prima persona. Ho molto apprezzato anche la scrittura dello spettacolo: il monologo è stata una scelta di impatto, ha permesso di creare un legame intimo con il racconto della donna, come se veramente si stesse aprendo a un/a caro/a amico/a dopo un lungo soffrire. Ricorderò per sempre il senso di integrità e forza che mi ha trasmesso la protagonista, la quasi incapacità di arrendersi, di lasciarsi andare agli eventi in maniera passiva, come se non potesse fare a meno di combattere. La scena che mi ha colpito maggiormente è stata quella in cui la madre decide di portare con sé la foto della figlia desaparecida dell’amica, perché in fondo è l’unica cosa che si deve e si può fare: non dimenticare. Concludo dicendo che porterò per sempre il ricordo di questo spettacolo impresso nella memoria e mi complimento nuovamente con il signor Sicco e alla signora Bein per lo spettacolo. Ringrazio, infine, il professor Novarino per averci permesso di assistervi.
I.B.
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È uno spettacolo che colpisce, anzi trafigge. Per l’età che ho e per le mie idee, se fossi nata in altri anni e in un altro luogo, anche io sarei potuta essere una desaparecida. Durante lo spettacolo, però, non ho pensato tanto a me o a quello che mi sarebbe potuto accadere, quanto invece al dolore di quella madre.
È uno spettacolo dalla forte valenza empatica. Mi sono sentita quella figlia rapita e quella donna sul palco era mia madre che soffriva, esasperata dal non ritrovarmi. Quello strazio mi ha attraversata.
Mi distrugge l’idea che tante di quelle madri siano morte prima di vedere anche solo un briciolo di giustizia. Che poi, giustizia… Sapere che tuo figlio è stato rapito, torturato, gettato da un aereo nell’oceano e non avere niente su cui piangerlo sarà sempre e comunque un dolore enorme, che non verrà certo placato dalle condanne ai colpevoli.
Spesso studiamo la storia con un certo distacco, mentre spettacoli come questo la rendono viva, educano chi non l’ha vissuta e contribuiscono al mantenimento della memoria. Quella memoria fortemente necessaria e che io per prima, d’ora in poi, mi impegnerò a portare avanti, perché la tragedia dei desaparecidos non può e non deve essere dimenticata.
L.M.
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Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento, più di mille giovedì e trentamila figli (personificazione naturale dell’amore puro) scomparsi. È una cruda realtà senza capo né coda, né luoghi sacri dove dare corporeità al dolore. Durante la visione dello spettacolo ho apprezzato anche i silenzi, che mi hanno permesso di regolare il battito cardiaco scomposto da parole strazianti. È stato un momento di congiunzione, mi sono sentita madre e figlia e sorella… l’empatia resta sempre l’unico antidoto al male.
M.D.
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Durante tutta la proiezione ho pensato alla mia mamma, che è la persona a cui devo tutto e ho immaginato quanto avrebbe potuto soffrire se avesse perso me o mio fratello. Ho sentito il dolore di una madre che perde un pezzo di lei, la determinazione nel cercarla e nel cercare una spiegazione a tutto ciò che stava succedendo. Questo spettacolo oltre a mettere luce su questi avvenimenti molto tristi ha sottolineato l’amore delle mamme per i propri figli, ha dimostrato che una madre andrebbe anche incontro alla morte pur di salvarli e difenderli.
La ringrazio quindi per aver condiviso con noi tutto questo.
R.C.
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le osservazioni le domande e i pensieri raccolti tra gli studenti universitari incontrati grazie al Professor Novarino sono ancora una volta un ossigeno necessario a rimotivare il senso del percorso e del lavoro quotidiano di assemblea teatro.
in questi tempi di assenza d’aria sono respiri che giungono graditissimi a vitalizzarci
GRAZIE
renzo sicco