La Valletta, Capitale Europea della Cultura
L’isola di Malta, lo scoglio di pietra gialla di 316 chilometri quadrati di superficie, 90 chilometri a sud della Sicilia, 284 a nord della Tunisia e 333 della Libia, è stata abitata da Fenici, romani, arabi, normanni, spagnoli, l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, la Francia di Napoleone, la Corona inglese. Tutti l’hanno avuta. Nessuno l’ha conquistata. Anche per questo, forse, il contrasto fra reminiscenza e presente ha qualcosa di straniante. E, insieme, di rivelatore. Come se tutte quelle mani che si sono posate sull’isola non abbiano lasciato altro che le tracce del commercio che ne hanno fatto. Come se la Storia abbia proceduto per stratificazioni e non contaminazioni. Senza lasciare nulla dietro di sé che non sia la pietra divorata dal tempo di insediamenti neolitici, templi fenici, teatri romani, edifici e chiese barocche, o anche tele irrigidite di immagini sacre. A testimonianza di un millenario e perdurante meticciato di convenienze, più che di convivenze. Tenuto insieme da una lingua franca, l’inglese, che, fatta eccezione per quel che resta della borghesia cresciuta con il protettorato di Sua Maestà la regina d’Inghilterra, non appartiene affatto alle 450 mila anime che sull’isola abitano. E che, piuttosto, si specchia nella lingua semitica d’origine: il “malti”, il maltese. Un dialetto arabo innervato da influenze maghrebine, italiane, spagnole, francesi, inglesi. All’ascolto, un grammelot che comunica la Babele generata da chi è sempre approdato su questo scoglio scappando da qualcosa o per comprare qualcosa che altrove non è in vendita.
Link al sito del ministero degli esteri in cui si parla della storia della Settimana della Cultura Italiana
Link a un articolo del Corriere di Malta che racconta queste giornate
Cultura è anche libertà di espressione e libertà di stampa. Ecco perché con orgoglio pubblichiamo le foto scattate da Renzo Sicco il 16 ottobre a La Valletta durante la manifestazione per Daphne Caruana Galizia a un anno dalla sua uccisione