Piero Gobetti
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Un anno fa a Parigi mi sono regalato una visita al monumentale cimitero Pére Lachaise dove riposano miti della cultura e dello spettacolo quali Apollinaire, Chopin, Molière, Rossini, o ancora Jim Morrison, Edith Piaf e Oscar Wilde.
Girando tra i viali ho trovato, non senza sorpresa la tomba di Piero Gobetti, nato a Torino nel 1901 e morto esule proprio a Parigi nel 1926.
Una tomba semplice, persa tra tante e preda del tempo, non fosse per una lapide posta nel centenario della nascita.
Certo pochi oggi sanno che Piero Gobetti fu allievo, amico e collaboratore tra gli altri di Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi, Carlo Cattaneo, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce, ovvero quel manipolo di persone che seppero coltivare pensiero e azione di libertà dentro all’aridità culturale del sorgente fascismo.
Piero Gobetti, giovane editore, fu il primo a pubblicare la raccolta di poemi “Ossi di seppia” del futuro Premo Nobel della letteratura Eugenio Montale.
Fautore di una rivoluzione liberale, vedeva nel fascismo “l’incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana” e auspicava e si batteva per una nuova società “in cui ciascuno possa essere libero di esprimersi”.
Pagò di persona nella consapevolezza che quando si è scelta una strada bisogna percorrerla fino in fondo.
Venne più volte picchiato dagli squadristi fascisti che non tentennarono nel distruggere le sue pubblicazioni e lo spinsero verso l’esilio il 6 febbraio 1926.
La moglie Ada, prima e il figlio Paolo poi, ne hanno raccolto la bandiera liberale e antifascista per non lasciare spegnere i grandi ideali di una generazione.
Vedere quella tomba, così importante per la storia d’Italia, dimenticata ha mosso in me, che faccio della memoria un percorso di lavoro imprescindibile per la mia Compagnia, corde di necessità.
Così sono tornato a Parigi con un cuscino di rose rosse e una scritta “Il Piemonte non dimentica”. L’ho fatto per me, per gli anziani amici partigiani che ho l’onore di conoscere, per i tanti giovani che incontro e che credono attraverso le parole dei nonni o dei padri o semplicemente per quello che hanno appreso leggendo, ai valori della resistenza e al coraggio di persone che come Piero Gobetti non rinunciarono al pensiero e alla dignità battendosi con forza e fragilità contro la crescita impetuosa del cancro fascista che tanto dolore avrebbe procurato alle genti d’Italia. Altri prima di me hanno ricordato!
Pulendo tra le pietre ho trovato una pagina di un racconto partigiano lasciata da qualche figlio di un caduto per la libertà.
Gesti teneri che i cimiteri accolgono con la dovuta pietà.
Gesti di un ricordo che rimane vivo e tiene in vita gli ideali.
Una tomba semplice, persa tra tante e preda del tempo, non fosse per una lapide posta nel centenario della nascita.
Certo pochi oggi sanno che Piero Gobetti fu allievo, amico e collaboratore tra gli altri di Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi, Carlo Cattaneo, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce, ovvero quel manipolo di persone che seppero coltivare pensiero e azione di libertà dentro all’aridità culturale del sorgente fascismo.
Piero Gobetti, giovane editore, fu il primo a pubblicare la raccolta di poemi “Ossi di seppia” del futuro Premo Nobel della letteratura Eugenio Montale.
Fautore di una rivoluzione liberale, vedeva nel fascismo “l’incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana” e auspicava e si batteva per una nuova società “in cui ciascuno possa essere libero di esprimersi”.
Pagò di persona nella consapevolezza che quando si è scelta una strada bisogna percorrerla fino in fondo.
Venne più volte picchiato dagli squadristi fascisti che non tentennarono nel distruggere le sue pubblicazioni e lo spinsero verso l’esilio il 6 febbraio 1926.
La moglie Ada, prima e il figlio Paolo poi, ne hanno raccolto la bandiera liberale e antifascista per non lasciare spegnere i grandi ideali di una generazione.
Vedere quella tomba, così importante per la storia d’Italia, dimenticata ha mosso in me, che faccio della memoria un percorso di lavoro imprescindibile per la mia Compagnia, corde di necessità.
Così sono tornato a Parigi con un cuscino di rose rosse e una scritta “Il Piemonte non dimentica”. L’ho fatto per me, per gli anziani amici partigiani che ho l’onore di conoscere, per i tanti giovani che incontro e che credono attraverso le parole dei nonni o dei padri o semplicemente per quello che hanno appreso leggendo, ai valori della resistenza e al coraggio di persone che come Piero Gobetti non rinunciarono al pensiero e alla dignità battendosi con forza e fragilità contro la crescita impetuosa del cancro fascista che tanto dolore avrebbe procurato alle genti d’Italia. Altri prima di me hanno ricordato!
Pulendo tra le pietre ho trovato una pagina di un racconto partigiano lasciata da qualche figlio di un caduto per la libertà.
Gesti teneri che i cimiteri accolgono con la dovuta pietà.
Gesti di un ricordo che rimane vivo e tiene in vita gli ideali.
Renzo Sicco
aprile 2012
aprile 2012
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