La notte del 19 settembre 1985 eravamo in Spagna, a Murcia.
Impossibile dimenticare. Eravamo in tour con “NEI SEGNI DELL’ ALVEARE” uno spettacolo nuovo che nella penisola iberica, in Spagna e Portogallo, paesi che da poco si erano liberati delle dittature e dunque desiderosi di modernità, stava ottenendo successi strepitosi sera dopo sera.
Avevamo debuttato un anno prima a Torino ricevendo una stroncatura totale su La Stampa con un articolo a 5 colonne dal titolo “Teatro o Ginnastica”.
Poche settimane nella stessa Torino ospitato dal Cabaret Voltaire giungeva e trionfava “Tango Glaciale” di Falso Movimento che proponeva lo stesso linguaggio post-moderno che tanto aveva scandalizzato la sabauda critica torinese. Ma la compagnia di Martone era partenopea e godeva di un ascolto e un’attenzione della critica nazionale che noi, sottomessi alle leggi della città fordista, all’epoca non potevamo immaginare. Eppure quello spettacolo vantava due incredibili collaborazioni: Peter Gabriel e Italo Calvino. Il primo all’apice della sua carriera solista ci aveva concesso l’uso delle sue musiche e ancora custodisco tuttoggi in un cassetto una preziosa bobina (all’epoca si usava così) con 15 minuti di musica tuttora inedita del grande musicista inglese. Italo Calvino invece ci aveva concesso l’autorizzazionea a trasformare in spettacolo le sue “Città Invisibili”. E si badi bene, non era poca cosa vista la ritrosia che l’autore aveva a concedere in uso i propri testi a causa di precedenti esperienze in cui era rimasto fortemente deluso. Era accaduto un giorno due anni prima durante settimane in cui Calvino resideva nella casa parigina. Avevo avuto il suo telefono e l’autorizzazione a chiamarlo. Per l’occasione ero tornato a casa dei miei per effettuare quella chiamata da un telefono a parete, di quelli neri con la rotella con i numeri. Avevo composto il prefisso e tirato un grande sospiro, chiamavo Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori italiani. Mi giocavo un si se non fossi stato abbastanza convincente. Ero giovane, sfrontato, ma anche molto timido, e in quel caso come non esserlo. Ma anche Lui lo era altrettanto. Di quella telefonata trent’anni dopo ricordo come fosse oggi i lunghi silenzi, secondi interminabili che mi parvero ore. Ma alla fine venne l’assenso. Ecco perchè la notte del 19 settembre eravamo in scena. Prima dello spettacolo ci raggiunse nei camerini una spettatrice, una giovane attrice neo laureata in letteratura con una tesi proprio su Calvino, Lola Gonzalez Manzano, che ci portò la notizia.
All’epoca non c’era internet , ne i telefonini o WhatsApp e le notizie viaggiavano attraverso i notiziari o i passaparola. Rimanemmo impietriti. Non era possibile. Italo Calvino sapeva del nostro successo e ci aveva promesso che sarebbe venuto a novembre a Torino, quando avremmo riproposto lo spettacolo. Non avvenne.
Il pubblico torinese ci decretò un successo che la critica continuò a negarci per un altro decennio ma Calvino non riuscì più a darci la sua personale opinione sul lavoro. Difficile quella notte andare in scena ma il pubblico altrettanto toccato dalla notizia fu di un calore impressionante.
Sono passati trent’anni ma l’emozione nello scriverne rimane la stessa. Quello spettacolo da molti anni non esiste più, svanito nella dimensione effimera del teatro ma “Le Città Invisibili” continuano a stimolare il nostro immaginario e a influenzare la fantasia restando un caposaldo del nostro percorso formativo e un insegnamento indelebile nella traiettoria pofessionale ed umana che sempre ci fa dire “grazie Italo Calvino”.