Sui giornali si è parlato di un grande autogol del Salone del Libro riconosciuta quale la più grande e unica fiera del libro in Italia. E’ venuta alla luce come, negli ultimi anni, le presenze alla manifestazione siano state gonfiate contando 65 mila ingressi fantasma.
Ma se quanto denunciato al Salone di Torino riguarda gli ultimi tre anni, il problema viene da lontano. E non per il solo Salone ma più in generale per la richiesta da parte del committente politico di numeri e poi, quasi come opzionale, anche di qualità.
Perché il Premio Grinzane Cavour, l’Associazione Culturale Marcovaldo di Caraglio e il Salone del Libro qualità ed eccellenza la producevano ma si sono annientati (i primi due) nella corsa a dimostrare di essere e poter essere “sempre di più” e di conseguenza a poter chiedere sempre maggiori finanziamenti.
A ragione dunque mi piace pubblicare sul nostro sito questo testo scritto agli inizi degli anni 2000.
In mezzo alla verde campagna dell’Uruguay.
A una ventina di chilometri da Colonia del Sacramento dopo cinque chilometri di strada sterrata in mezzo alla verde campagna dell’Uruguay c’è un Tempio Valdese.
Accanto ha un salone per le riunioni con il palco di un vecchio teatro. Alle spalle della costruzione mucche al pascolo e una piantagione di eucalipti. Molto distante la piccola luce di una casa. Più vicine le voci e i suoni della campagna e di differenti uccelli. Sulla linea dell’orizzonte un sole rosso come una ferita e sopra di noi un cielo azzurro con qualche vaga nuvola bianca. Siamo qua con Gisella per rappresentare “Più di mille giovedì”. Siamo con Tati Almeida, Madre de Plaza de Mayo Linea Fundadora, con noi a testimoniare il coraggio della storia e del presente delle “locas”, le pazze di Plaza de Mayo come le chiamavano i militari.
Ancora una volta l’aereo si è alzato in volo e ci ha portato in Sud America per la nostra quinta tournée, sei spettacoli in 10 giorni, due in Argentina con le Madres e quattro in Uruguay con la Mesa Valdense del Rio de la Plata.
Potrei raccontarvi di piazze colme di pubblico o di teatri con centinaia di persone, invece preferisco raccontare questa notte in cui in mezzo alla vasta campagna arrivano per vederci una trentina di contadini figli di terza o quarta generazione di immigrati italiani.
“Ai nostri nonni, ai nostri padri venuti qui, mancavano le montagne, li stordiva questa immensa pianura. A Torre Pellice guardi in alto e dici “lì abitano i Tourn, là abitano i Bein, là i Malan. Tutto è semplice, sta in uno sguardo. Qui l’orizzonte lo perdi dentro lo spazio infinito della pianura. In Piemonte erano abituati a portare la terra sulle spalle risalendo i fianchi della montagna. Quando sono arrivati in Uruguay li stupiva che fosse il cavallo a portare loro in groppa. Molti non ce la facevano, si smarrivano nella nostalgia e piangevano.”
Loro adesso si smarriscono meno, sono saldi, non piangono più e questa sera controllate le mucche dopo la mungitura, indossata la camicia della festa, sono venuti con le mogli ed i bambini ad ascoltare una storia d’argentina che per vicinanza e affinità politica li ha toccati. Non travolti con la desapareción, ma umiliati e spezzati con la dittatura, la tortura e l’esilio. Non loro come persone forse, ma come popolo sì. Hanno volti forti solcati dal sole, mani robuste e callose segnate dalla terra, occhi attenti fissati dentro il racconto che scorre. Li guardi e senti il senso del tuo lavoro, intuisci quanto importante sia cucire le emozioni, serrare le distanze e capisci, contro le grandi cifre, quanto sia utile e necessario il lavoro delle api per raccogliere una goccia di miele da un giorno di fiori.Colonia del Sacramento – San Pedro 23 ottobre 2001 Renzo Sicco
Non entro nel merito della polemica attuale ancora una volta carica di inutile sorpresa visto che i dati erano evidenti e sotto gli occhi di tutti.
Era sufficiente frequentare il Salone del Libro per cogliere l’evidenza del bluff, bastava parlare con gli operatori agli stand per capire l’andamento in discesa delle ultime due edizioni. Trovo dunque scandaloso stupirsi.
Proprio parlando con gli editori si sarebbe anche colto che a minore presenza di pubblico veniva indicato un incremento delle vendite, indice questo di una qualità maggiore nell’incontro tra il pubblico e la proposta. Ma nessuno lo dice perché poco importano appunto gli indicatori di qualità, contano invece le cifre e allora se la politica chiede numeri chiaro che gli interlocutori ci si adeguano e li gonfiano.
“Peccato veniale” dice il direttore in pectore. Può darsi! Non tocca a me contestare opinioni o decidere sentenze né mi interessa giudicare alcuno. Quello che ho chiaro è che a noi di Assemblea Teatro non sono mai interessate le cifre. Abbiamo molte volte fatto sale esaurite e riempito piazze o spazi sterminati. Ci ha fatto piacere certo! Ma esattamente nella stessa misura ci ha fatto piacere realizzare serate per 30, 50, 60 persone. Sappiamo che molte volte le più importanti rappresentazioni non sono state rivolte a folle oceaniche, anzi! 80 persone in Plaza de Mayo la prima volta di “Più di mille giovedì” in piena epoca di leggi di indulto e in piena gestione Menem, 60 spettatori a Villa Grimaldi a Santiago quando il Museo de la Memoria era soltanto un’idea, 50 persone a La Perla a Cordoba, dove il solo nome dell’ex centro di detenzione e sterminio clandestino creava ancora terrore nelle persone, o ancora 50 spettatori in miniera a Prali, tutti ex minatori fra i 50 e i 70 anni, che per la prima volta nella loro vita vedevano uno spettacolo teatrale. Piccole cifre di momenti però impagabili che non hanno cambiato soltanto noi ma pezzi di storia.
Per noi sono risultati ben più interessanti dei grandi numeri. Forse proprio per questo continuiamo a ricevere una “scarsa considerazione” e finanziamenti esigui ma, davvero, ci è più utile l’attenzione, il rispetto e la fiducia degli spettatori dato che eticamente riteniamo importanti i risultati ottenuti restando fuori dal coro.
Renzo Sicco