Barcelona e poi Lisboa e ancora Porto.
Tre grandi metropoli e alcuni piccoli centri dove raccontare ancora una volta gli ultimi giorni di Neruda e quell’11 settembre del 1973 che la nostra memoria labile ha smarrito col passare del tempo. Eppure quante riflessioni da quelle ore e quei giorni si possono trarre.
E diverse secondo le angolazioni di chi le ascolta .
In Spagna aprono questioni irrisolte, ancora oggi, con l’eredità del franchismo (un’altra dittatura). In Portogallo portano conoscenza di giorni e avvenimenti che il fascismo locale (la dittatura di Caetano) caduto un anno dopo, il 25 aprile 1974, non aveva concesso neppure di conoscere.
Tra tante persone comuni a Barcelona in sala con noi c’è Mercedes Ibarz, giornalista e opinionista catalana che ci dice una frase bellissima: “Il rapporto in cui unite la nostra vita europea all’11 settembre cileno in forma personale e collettiva, oggi che davvero poca gente ricorda, è davvero un atto artistico nel migliore senso possibile.”
A Lisbona quando alla fine della presentazione de El funeral de Neruda si riaccendono le luci, scopriamo in sala la presenza di un emozionantissimo Manuel Fajardo, grande amico di Luis Sepúlveda, e con Javier Cercas, una delle grandi penne della nuova letteratura spagnola. Ci dice con gli occhi brillanti di aver apprezzato lo scorrere dei mille dettagli che ridisegnano quei giorni e il fluire della storia, e la nostra passione nel raccontarla.
L’abbraccio con tutti è forte e intenso e se ce ne fosse bisogno conferma l’enorme bisogno di storia e di verità cha ancora ruota attorno nel mondo contro ogni apparente indifferenza. Basta riaccendere la miccia.
Renzo Sicco