Identità
Chiedersi oggi che senso abbia parlare di identità. Tutto sembra tendere all’omologazione, non intesa necessariamente con accezione negativa. La realtà economica mondiale tende all’omologazione dei bisogni, poiché questa induce omologazione dell’offerta e dunque risparmi significativi nella produzione di beni di consumo. È questo a nostro avviso il senso più profondo della cosiddetta globalizzazione. Ma l’identità dei popoli è qualcosa di profondo e permeante, difficile da sradicare. È ciò che offre agli individui quel senso di appartenenza che costituisce rifugio. A partire da queste considerazioni i percorsi di Assemblea Teatro si sono incrociati necessariamente con quelli di coloro ai quali l’identità è stata negata. Parliamo ad esempio di identità biologica, in riferimento agli hijos , i figli dei desaparecidos argentini strappati ai genitori e affidati a famiglie “omologate”, che potessero garantire la loro “retta” educazione. Ma parliamo anche delle madres, cui sono stati strappati i figli nel fiore della giovinezza, negando loro persino un cadavere, impedendo la necessaria rielaborazione del lutto. Ma identità è anche culturale. Pensiamo ai popoli del Chiapas, ai Curdi, al Tibet, a tutti coloro cui viene negata con la forza la possibilità dell’appartenenza. Negli ultimi mesi hanno dato scandalo le donne costrette al burqa. Quanti burqa si impongono ogni giorno gay e lesbiche che vivono in paesi in cui l’omosessualità è reato?
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Abbiamo ricevuto nella nostra posta questa mail che per il punto di vista personale, intenso e coinvolgente ci piace inserire in questo spazio di riflessione sull’attualità Amici miei, come forse non sapete, la nuova riforma dell’insegnamento prevede che la materia “educazione musicale” venga ridotta a insegnamento facoltativo. Facoltativo, in un paese che un tempo era re della musica, e oggi è ridotto a una landa desolata di analfabeti musicali, significa privare un ragazzino, inconsapevole, di conoscere un mondo che può diventare per lui ragione di vita. E si sa, in un vivere come il nostro, “non si può perdere tempo con le menate. Bisogna studiare quello che serve alla vita reale!”. Stupisce come ci si stupisca (scusate il gioco di parole) che il nostro occidente civilizzato sia attanagliato dalla depressione e dal senso di inutilità dell’esistenza, un mondo dove la bellezza stenta a sopravvivere ed esiste solo il Verbo “homo homini lupus”. Eppure è tutto terribilmente chiaro. L’uomo si sta dimenticando di che cosa l’ha reso grande. L’espressione del suo io più vero. La passione per la bellezza della vita. E, magari, la determinazione di essere musicista perché non si può immaginare un mondo al quale sia negato di gioire della musica di Mozart. Questa è la mia storia. La musica è una delle mie più importanti ragioni di vita. L’emozione enorme che a volte provo nel suonare, o nell’ascoltare musiche immortali, non la darei neanche per tutto il potere temporale del mondo. Eppure, se io fossi nato oggi, mi sarebbe forse capitato di studiare in una scuola media dove la musica per me non sarebbe esistita, perché certamente i miei genitori non mi avrebbero fatto “perdere tempo” con la musica. E oggi sarei un triste, grigio individuo che non sa cosa sta a fare su questa terra, depresso e infelice. Ho ancora in mente le immagini del grande violoncellista Mstislav Rostropovich che, sotto le macerie del muro di Berlino appena caduto, festeggiava alla sua personale maniera quel momento felice, suonando, rapito, sul suo Stradivari, il preludio dalla prima suite per violoncello solo di Johann Sebastian Bach. Non sarò mai abbastanza grato alla mia insegnante di musica di allora, che pur nell’oretta alla settimana striminzita e quasi inutile, ci faceva ascoltare delle musiche che mi lasciavano sconvolto. E che mi ha aperto la porta a un mondo di bellezza straordinaria, per il quale, già solo per esso, vale la pena vivere.
Pietro Mossa
zanfrittello@yahoo.it