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RENATO RASCEL A CENT'ANNI DALLA NASCITA

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RASCEL NELL'ARIA DI TORINO

Renato Rascel era piccolo di statura, non diceva parolacce, sulla scena del varietà non si contornava di donnine mezze nude. Poteva piacere anche ai bambini, e spesso infatti recitava la parte del bambino impertinente, quello che nel nome dell'innocenza dice le cose che i grandi non possono o non vogliono o non debbono dire; figlio del figlio del figlio del bimbo del re nudo. Aveva una voce tenera, sommessa e se del caso pure sottomessa, di chi conosce l'arte sottile di farsi sentire anche da quello che non ti vuole ascoltare: da bambino furbetto, ecco. Quello che, quando finalmente si decide di dire come è la nonna, su richiesta pressante dei genitori i quali vogliono che tutto il mondo sappia che il pupo ha imparato a parlare, dice che è brutta. Il mondo cantava le sue canzoni d'amore, alcune bellissime, ma lui cantava spesso, ai più piccoli, "Ma dove vanno a finire i palloncini, quando sfuggono di mano ai ragazzini?".
A spanne, lui si lega all'indietro a Petrolini, in avanti a Bergonzoni. Tra "ho comprato i salamini e me ne vanto" a "lei stette, anzi lei smammellò". Giocò molto con le parole, simulando di non comprendere quelle altrui per emettere le sue però storpiate. Il suo tormentone fu "e invece pure". Per un certo periodo lo usammo in tanti, se non tutti. Se conversando in gruppo ti scappava un "…e invece", trovavi sempre qualcuno che ti completava e stoppava con un "pure". Come per il vengo anch'io", "no, tu no" della canzone di Iannacci.
Le sue riviste erano decisamente le più imbevute di musica, di belle canzoni di cui spesso era l'autore: "E' l'ora di dare la buonanotte al mare", "La mia donna si chiama desiderio", "Attanasio cavallo vanesio", cantate da lui o da altri/altre. Il top della qualità "Arrivederci Roma", col passaggio miniporno per l'epoca: "Però a Villa Borghese, la sera a tu per tu, fui io che dissi a lei merci beaucoup". Il top della popolarità "Romantica", con cui vinse il Festival di Sanremo in coppia con l' "urlatore" Tony Dallara.
La primadonna in scena nelle sue riviste era sua moglie, Tina De Mola, che si diceva fosse affettuosamente legata al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Divorziato, Rascel sposò poi Huguette Cartier e infine Giuditta Saltarini, una stangona al fianco del "piccoletto nazionale".
Ha fatto relativamente poco cinema, se si pensa al suo grosso personaggio comico. Ma "Il cappotto", regia di Alberto Lattuada, e "Policarpo de' Tappetti ufficiale di scrittura", sono stati due capolavori di recitazione anche intensa, dolente, persino tragica. A questi si affiancheranno molti altri film in cui Rascel di volta in volta esibisce la sua vena comica e surreale, o musicale. La sua bassa statura era il pretesto sin troppo facile per battute e non solo: faceva Pancho Villa che cadeva da cavallo, finiva in un fiume e piccolo ergo leggero veniva appeso, perché si asciugasse, ad una corda tesa, in mezzo alla biancheria appena lavata.
Come per tanti comici, ci si chiede di lui se non si sia trattato di un talento buttato via su palcoscenici non sacri, quasi senza registrazioni, quasi senza archivio. In effetti lui non ha mai trovato (e forse mai cercato) il grande regista, tipo Fellini, che lo valorizzasse in pieno. Fatta eccezione per un cammeo nel "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli.
Come se, inconsciamente o no, il suo personaggio dovesse restare piccolo, in armonia (?!) col suo fisico. In scena lui sembrava intento sempre a non dare disturbo, le sue irruzioni tra le frasi degli altri dovevano apparire casuali. Come appunto quelle di un bambino. Non dare disturbo: Ceronetti scorge e plaude l'imperativo nel dna del torinese tipico, e chissà che Rascel, nascendo casualmente a Torino, non abbia colto almeno questo quando, al suo primo respiro, si mise nei polmoni l'aria di questa città.

Gian Paolo Ormezzano



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