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RENATO RASCEL A CENT'ANNI DALLA NASCITA

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RASCEL nel ricordo di
Osvaldo Guerrieri

Mi ricordo come fosse ieri. La prima volta che ho visto in azione Renato Rascel è stato cinquantuno anni fa. Era il 1961 e portavo ancora i calzoni corti. Torino celebrava i cent'anni dell'unità nazionale e nei suoi padiglioni al Valentino, sul fiume, nelle piazze, ovunque, mostrava la fantasmagorica rappresentazione di un futuro che a chiunque sembrava non solo possibile, ma soprattutto tangibile. Arrivò anche il teatro. Di ogni genere. Compreso il più ostico e inimmaginabile. Per esempio il Living, di cui nessuno fino a quel momento aveva sentito parlare. Arrivò anche Renato Rascel con "Enrico 61", la commedia musicale con cui Garinei e Giovannini partecipavano alla celebrazione centenaria con lo stile, la leggerezza, l'ironia che appartenevano soltanto a loro.
Rascel era un mio idolo. Me lo avevano fatto conoscere la tv e il cinema. Vederlo sullo schermo grande o piccolo mi incantava. Il Piccoletto era un fantasista strepitoso. Ballava con la leggerezza di una farfalla, suonava la batteria come un demonio, e pazienza se scompariva dietro i tamburi e i piatti. Quando faceva la macchietta e si infilava dentro quelle tiritere assurde, che più tardi mi parvero provenire dritte dritte da Ettore Petrolini, avevo la sensazione che mi trasportasse nello sciocchezzaio più serio (e più poetico) di questo mondo. E il Corazziere? Ve lo ricordate nel Corazziere? Vi ricordate il tormentone "Vedano..." che preludeva alla beatitudine comica?
Ecco perché mai e poi mai mi sarei perso Rascel. Mi sistemai in platea e lo vidi all'opera, benedicendo i soldi spesi e così duramente raggranellati. In quella commedia "Renatino" era giovane e insieme vecchio decrepito, tanto da doversene stare su una sedia a rotelle con la classica coperta sulle ginocchia. Entrando e uscendo dalle varie età, il Piccoletto ricordava e viveva, attraversava cent'anni di storia patria sottoponendosi ad una metamorfosi prodigiosa. Due i momenti che mi colpirono. Quello in cui Enrico diventava maggiorenne e l'amico più caro (Gino Latilla) gli portava in regalo un sigaro allungando subito la mano e reclamando "un bajocco". Quella sera scoprii una qualità irritante della generosità. Il secondo momento era ambientato negli anni della Liberazione con l'arrivo a Roma degli Americani e soprattutto delle ausiliarie. Alla testa delle ragazzone in divisa c'era Gloria Paul, che con le sue gambe chilometriche si scatenava in un boogie-woogie che seppe togliermi il sonno. Ma questa, come potete immaginare, è un'altra storia.

Osvaldo Guerrieri



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