Spettacolo in lingua spagnola
di Marco Antonio De La Parra
riduzione scenica di Renzo Sicco
traduzione di Lola Gonzalez Manzano e Renzo Sicco
regia Lino Spadaro
interprete Lola Gonzalez Manzano
la voce di Pablo Neruda è di Andrea Tidona
“Vorrei tanto che le vittime delle violazioni dei diritti umani in Cile e nel mondo riapparissero come per miracolo, vorrei potessero dirci dove sono stati seppelliti tutti questi anni e chi li uccise, perché nessuno li dimentichi. L’amnesia, il grande male dei paesi vissuti nella dittatura, non può durare. Non si può dimenticare quel che è successo, perché il passato non è passato, ma è vivo, e continua ad essere vivo come se stesse accadendo in questo istante”.
Josè Saramago
Dal 1973 al 1990 in Cile sono avvenute migliaia di sparizioni, decine di migliaia di arresti, torture ed esilii. Tutto si concluse con il “Plebiscito” dell’89 proposto dalla stessa giunta pinochetista sulle crescenti pressioni della solidarietà internazionale. Nonostante il rifiuto nei confronti di Pinochet scaturito dal plebiscito, l’ex dittatore mantenne la carica di comandante supremo delle forze armate e ottenne l’assegnazione, una volta in pensione, della carica di Senatore a vita con conseguente immunità e impunità. Pinochet oggi è morto, ma continua a essere un simbolo di un Sud America che tra gli Anni ’70 e gli Anni ’90 ha combattuto il pericolo “rosso” attraverso qualsiasi mezzo.
In diverse occasioni la giustizia ha provato d inchiodarlo alle sue responsabilità, tuttavia non ci è mai riuscita. Eclatante fu l’arresto chiesto dal giudice spagnolo Baltasar Garzon nel 1998, durante un ricovero londinese, che cominciò la procedura d’estradizione per i crimini di genocidio, torture e per le desapariciòn che si verificarono durante la giunta militare guidata dal generale. Dopo oltre due anni ottenne di essere rimpatriato in Cile, accolto come un eroe dai suoi sostenitori.
Contro di lui sono state presentate 108 denunce per fatti di inaudita ferocia, tra i quali quelli della “Carovana della morte”, un reparto militare che a un mese dal colpo di stato per tutto il paese andò a caccia di oppositori fucilandone 74 senza processo. Non fu processato. Il 1° luglio 2002, per quattro voti contro uno, i giudici della Corte Suprema hanno deciso il “non luogo a procedere” garantendo l’impunità al dittatore. Il 10 dicembre 2006 il generale se ne andò, senza aver pagato per i propri crimini.
“Carta abierta a Pinochet” di Marco Antonio de la Parra narra la quotidianità di coloro che non sono stati perseguitati, torturati, o costretti alla fuga ma che hanno vissuto giorno dopo giorno l’oppressione. Emerge la realtà sconosciuta di milioni di persone che hanno provato quotidianamente il significato della parola paura. Ma la dittatura non è solo esercizio del terrore o privazione dei diritti fondamentali, è qualcosa che si insinua nel più profondo dell’animo, annichilendo l’esistenza di uomini e donne che non riescono più a vivere dignitosamente. Sogni e utopie cancellate dall’insicurezza della propria incolumità in un territorio controllato capillarmente.
E dove non arriva lo sguardo della polizia segreta, arriva l’effetto devastante, nell’immaginario dei cileni, della spettacolarità della dittatura. Di giorno parate di fantaccini e poi macchine che si muovono piano nella notte, uomini dai capelli impomatati e gli occhiali scuri agli angoli delle strade. Pinochet era il Cile. Questa è stata la vittoria del golpe. Il mondo non ricorda il nome dei poeti ma quello dei macellai.
Marco Antonio De La Parra è professore di drammaturgia all’Università Cattolica del Cile, è membro dell’Accademia di Belle Arti, è stato responsabile culturale all’Ambasciata del Cile in Spagna durante il primo governo di transizione democratica, è autore teatrale, scrittore di novelle e racconti, giornalista e psichiatra.
Con “Lettera aperta a Pinochet” (opera non pubblicata in Italia) affronta i temi centrali del Cile di oggi scegliendo per la sua riflessione il personaggio più famoso e controverso della vita nazionale del suo paese nell’ultimo quarto di secolo trascorso. Lo fa con linguaggio trepidante, appassionato, incisivo e polemico.
L’opera si inscrive dentro alla nobile tradizione del “J’accuse” di Emile Zola, rinverdendo l’esempio delle denunce vive di Pablo Neruda.