L’Istituto Portoghese di Roma ha stimolato e prodotto una pubblicazione dal titolo NEL TEMPO E NELLA VITA sul senso del viaggio come metafora e realtà.
Il volume è in edizione bilingue.
Tra i diversi ricercatori invitati a scrivere le loro riflessioni è stato invitato anche Renzo Sicco, ormai riconosciuto interlocutore dell’espressione culturale contemporanea portoghese nonché grande viaggiatore.
A seguire pubblichiamo il suo intervento scritto per l’occasione.
Appena raggiunta la maggiore età che per quelli della mia leva giungeva ai 21 anni, ho iniziato a viaggiare. Era la prima metà degli anni 70 e questo voleva dire varcare le frontiere: Austria, Germania, Danimarca, ancora Germania, Olanda, Belgio, Francia e infine nuovamente quella italiana per ritornare a casa. Queste sono state le tappe e gli ostacoli di quel mio primo viaggio di un mese in giro per l’Europa.
Ostacoli perchè le frontiere esistevano ed erano una rogna di code sotto il sole o la pioggia in attesa di un timbro e di un permesso di accesso di fronte a un doganiere non sempre gentile che sovente ti guardava partendo dal presupposto che eri giovane, magari coi capelli lunghi, e dunque potenzialmente farabutto.
Spesso e volentieri quei passaggi ti provocano se non paura, per lo meno una decisa ansietà. Ricordo le frontiere in Ungheria e Polonia, per la prima volta verso l’est, ma soprattutto le urla nella galleria tra Perpignan e Port Bou nel primo viaggio verso Barcellona. Adesso nella capitale catalana ci arrivi con Ryanair o Vueling, ma un tempo solo col treno e per di più con l’obbligatorio cambio di carrozza tra Francia e Spagna a causa dello scambio di grandezza dei binari che impediva ai treni dei paesi europei di viaggiare in Spagna. Il cambio avveniva nella notte tra le urla di doganieri aggressivi come dei veri e propri cerberi.
Poi prima con l’Europa unita e poi con la mondializzazione l’universo terrestre si è avvicinato rendendosi più disponibile e così viaggiare (a parte l’annullamento improvviso dei voli, ormai una costante negli aeroporti dove la terra di nessuno elimina i diritti dei viaggiatori e innalza quelli delle compagnie aeree) si è reso più semplice. Importante dirlo oggi che privi di questa memoria molti vedono le frontiere e la lingua materna come la sicurezza ideale con cui costruire volentieri nuove barriere.
Oggi la libertà di movimento ci pare scontata, ma non lo è stata per tanto tempo e di certo non lo è stata per buona parte della popolazione.
Grazie a questa libertà epocale ho potuto viaggiare in oltre 43 diversi paesi, infatti questo è stato il mio carnet di una vita.
Alcuni di questi, soprattutto quelli latinoamericani, li ho toccati tornandoci più volte (almeno una decina in Cile, altrettante volte in Argentina e in Uruguay diventandone quasi cittadino adottivo), altri meno, o anche una sola volta (l’Etiopia, Israele, gli Stati Uniti, la Georgia, il Guatemala).
In alcuni ci sono stato per diletto o per curiosità (Olanda, Kenia, Danimarca, Canada, Senegal, Marocco, Francia), in altri portato dallo studio del sentimento o dal lavoro (Portogallo, Spagna, Cordoba, Ecuador, Paraguay, Tunisia, Norvegia, Sud Africa, Messico). Prima dell’avvento del cellulare non ho mai fatto fotografie nei luoghi in cui sono stato. Fissavo nella mia mente le immagini accompagnandole a dei ricordi, ma al mio rientro tutti mi chiedevano di mostrar loro le foto di luoghi o degli attimi fissati. Io non ne avevo e allora raccontavo. Questi racconti affascinavano i miei ascoltatori. Ma mi rendevo conto di un mio limite. Ai primi e più fortunati interlocutori raccontavo il mio viaggio in modo articolato e ricco di enfasi, con vivo entusiasmo e arricchivo con molti dettagli lo sviluppo dei miei percorsi e delle sensazioni raccolte negli incontri, mentre invece con gli interlocutori successivi via via la forza del racconto si stemperava.
Per essere democratico e più ugualitario ho iniziato allora a scrivere e a fissare sulla carta i miei viaggi, in modo da fornire a tutti la stessa versione. Fotografie in forma di racconto. Ne è nato un album che grazie ad un’amica è diventato la proposta ad un editore e quindi un mio primo libro, “Sotto i cieli del mondo”, che ho iniziato a presentare in diversi festival ed incontri.
Così mi sono reso conto che esisteva una vasta letteratura di viaggio con firme autorevoli come quelle di Bruce Chatwin o Paul Teroux, passando per Luis Sepúlveda o Ryszard Kapuściński.
E se esiste offerta è perché forte è la domanda e dunque ci sono, come i miei amici, molti lettori interessati a raccogliere immagini di viaggio. Perché il viaggio è scoperta è incontro. Scoperta di luoghi, scenari, e questo è vero anche se l’informazione globale ormai ci ha stordito presentandoci e rendendoci visibile il nostro pianeta nella sua quasi completa totalità. Ciò nonostante si mantiene vivo nel racconto diretto un fascino ineguagliabile che lo schermo di un tablet o di un computer non può rendere. E questo accade ancor più per gli incontri con altre latitudini del mondo che non son comparabili ad una chat. Gli incontri vivono di pelle, di profumi e sensazioni immediate, di strette di mano e frasi non convenzionali nella ricerca di altro da sé, sono scambi di culture e di storie.
E poi nel viaggio c’è il programmato, ovvero in genere, per un vero viaggiatore, una partenza ed un ritorno mentre tutto il resto del tempo deve essere riempito dall’inatteso.
L’incontro che non ti aspettavi, lo sguardo che non pensavi di incrociare, la storia che nel tuo paese non ti potrebbe mai accadere di ascoltare, il sapore che non avevi mai provato a gustare.
Insomma, il viaggio è imprevisto e sorpresa che devi sapere affrontare.
Altresì il viaggio è sempre stato il riflesso della nostra società. E in questo momento questo è ancora più evidente.
L’atteggiamento aggressivo di tante persone su aerei, treni o bus, è lo stesso che possiamo verificare ogni giorno tra i leoni della tastiera pronti a sbranarsi sui social network.
Non è l’abito che fa il viaggiatore, e chi si attrezza ad un viaggio se è consapevole dei muri o delle possibilità offerte dove sta andando, allora si assumerà le proprie responsabilità. Purtroppo, spesso alle persone manca la consapevolezza.
Infatti, il viaggio offre a ciascuno di noi una grande libertà a patto che la si affronti in modo responsabile. Purtroppo, anche il viaggio è lo specchio di una società sempre più aggressiva.
Considerando il numero sempre più alto di persone che si mettono in movimento è un dato statisticamente possibile ma l’aggressività si manifesta sempre più spesso. Come nella vita l’importante non è la meta ma il percorso e il coraggio e la curiosità che ci metti a renderlo attraente.
Troppe persone vogliono arrivare dove non ce la fanno o non possono nella maniera in cui vogliono. Come in alta montagna hanno bisogno di corde ed ossigeno, ma se per dare soddisfazione al proprio ego sono disposti ad andare avanti ad ogni costo, allora non stupisce affatto che siano capaci di spintonare o respingere chi incrociano sul loro cammino.
Oggi godiamo di una libertà di azione e di programmazione che i nostri genitori e predecessori non avrebbero mai potuto considerare, ma non sempre ne sappiamo fare uso.
Così, molti girano il mondo senza capirci nulla, intruppati per aggiungere un selfie alla collezione, cercando resort o hotel che ricostruiscano i luoghi e le condizioni e soprattutto i cibi che hanno lasciato, in modo da restare stanziali anche a chilometri e chilometri da casa. Ma anche questo è il risultato della democrazia, ognuno sceglie e può scegliere il viaggio che preferisce o merita o parimenti la vita.
Renzo Sicco