Laura Mancinelli, una nuova assenza
Sembra che questo debba essere il tempo degli addii. Se ne e’ andata un’altra grande scrittrice torinese. Laura Mancinelli. Ho avuto il piacere di incontrarla diverse volte nella sua casa a Torino non distante dalla mia. Una pesante malattia la obbligava reclusa e nonostante le evidenti difficolta’ la trovavo dolorante, ma sorridente.
Coraggiosa e tenace.
Ha offerto pagine stupende ai suoi lettori e parole ricche e dense tanto di storia quanto di ironia ai nostri spettacoli.
In “Cieli su Torino” c’e’ un suo testo, un regalo alla citta’, che ha voluto scrivere con gioia.
E’ delicato e cosi’ voglio ricordarla
Renzo Sicco
Scherzi della luna
Una luce bianca illumina improvvisamente il pavimento della mia camera, mette in risalto i disegni bianchi, rossi e grigi delle antiche piastrelle, come si usavano nell’Ottocento, disposte a formare spigolose forme sulle quali ho spesso fantasticato di grandi fioriture tropicali, immense e coloratissime, finché la mente si perdeva in un immaginare stanco e vano.
So bene che quella luce viene dalla luna, quando il nostro satellite, capriccioso e pazzerello, raggiunge il culmine approssimativo nel cielo boreale e attraversa, bontà sua, lo spazio dietro la porta-finestra della mia stanza. Dura poco, perché i tetti delle case vicine lo sovrastano con la loro severa immobilità, ma in compenso non è turbato da altre luci, come potrebbero essere quelle dell’illuminazione stradale, perché il mio spicchio di cielo si affaccia sul cortile buio e silenzioso. Ed è il silenzio che, mentre osservo le figure sul pavimento, mi richiama alla memoria un’altra notte di luna, tanto remota che sembra appartenere ad un’altra vita, perduta nelle pieghe dei ricordi. Dimenticata.
Dove sedevamo insieme tu ed io, vicini e assorti a guardare il cielo notturno? Su una panchina del Valentino o sul terrazzino di casa mia, in via Mazzini quasi sull’angolo con Corso Cairoli? Si indovinava il fruscio del Po al di là del viale, quasi a dividere la città dalle colline disposte subito a ridosso del fiume, precedute dal Monte dei Cappuccini, che non è affatto un monte ma una modesta collinetta, avanguardia solitaria di quella corona di rilievi che sembrano abbracciare Torino a sud, e quella sera, ti ricordi? apparivano più nette e delineate nella notte serena, punteggiate di luci a rivelare la presenza di strade, case o piccoli villaggi sparsi e quasi nascosti nella vegetazione. Era una notte d’estate e tu fosti colpito dalla chiarità di quel cielo notturno che faceva impallidire le stelle quasi fosse l’alba. Ma l’alba era ancora lontana.
Guardavamo l’orlo delle colline in una atmosfera assorta, stretti l’uno nell’altra, come in attesa di qualcosa, qualcosa che tutta la parte del mondo davanti a noi, ai nostri occhi, alla nostra mente, attendeva in una sorta di emozione assorta e misteriosa.
– Guarda! – mormorasti indicando il bordo estremo dei rilievi offerti alla nostra vista. Ed io guardai e vidi il margine delle colline orlarsi di una bianca luminescenza che a mano a mano si faceva più limpida e decisa. Poi la luce si sparse tutt’intorno, scivolò lungo il pendio e nello stesso tempo si diffuse facendo impallidire le stelle. Il cielo notturno divenne più chiaro, la sagoma delle colline più luminosa finché da oriente apparve la curva della luna piena d’agosto, che lentamente salì fino a disegnare completa la sua sfera.
E la notte parve tutta sorridere di quella luce magica ed inattesa.
E’ un dolce ricordo. Ma un ricordo lontano, di un tempo remoto, di un’altra vita. Tu sei morto, ed io malata da anni.