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Infine ci siamo arrivati – di Renzo Sicco

05 giugno, 2015 - 11:36

Infine ci siamo arrivati.
Un sogno durato un anno si è concretizzato !
Quello di raccontare una storia incontrata nel corso di una passeggiata sul bordo dell’Europa in un luogo chiamato non a caso Cabo do Mundo.

A pochi chilometri al nord di Oporto, nel territorio di Matosinhos, esiste una litorale chiamato Costa Negra non perchè il suo colore sia il nero, anzi le enormi spiagge sono dorate, ma per il nero della sua storia disseminata di naufragi e affondamenti di navi delle più differenti stazze e dimensioni a causa delle correnti dell’Atlantico e dei fondali rocciosi nascosti spesso dai consistenti mutamenti delle maree.
Ebbene la storia che ho incontrato non era quella di un vascello carico d’oro ma quella di un sottomarino tedesco alla fine della guerra. L’ha raccontata e ricostruita molto bene Gabriele Romagnoli nell’articolo apparso in prima pagina ieri su La Repubblica e riportato sul nostro sito *(articolo completo a fondo pagina).
Impossibile non innamorarsene.
Il teatro di Assemblea Teatro vive da sempre di storie forti , cariche di una loro intrinseca intensità. Una volta queste storie le cercavamo con la nostra eterna curiosità, oggi spesso ci vengono a cercare o, ben più che casualmente, le incontriamo nei nostri camminamenti per il mondo.
Ebbene, sapere, venire a conoscenza dell’U Boat 1277 un anno fa, a quasi 70 anni dal suo affondamento, mi è parso un annuncio di un dovere per farne rivivere la storia nei giorni dell’anniversario il 2 e il 3 di giugno di questo 2015.
L’abbiamo fatto ed è stato un successo enorme. In termine di numeri . Oltre 1200 spettatori presenti alla prova generale del 1 giugno e al debutto del 2 e alla replica del 3.
1200 persone sono un gran numero, comunque, ma i numeri restano freddi se non li si spiega.
Qui non lavoravamo in un teatro ma su di una spiaggia sull’oceano dove il vento, l’umidità e il balzo termico rendono le notti fredde ed inospitali.
Lavoravamo sulla spiaggia di Angeiras, la stessa dell’approdo dei militari tedeschi, non distanti da una grande città ma in un villaggio di pescatori non uso a manifestazioni che non siano processioni rituali o a qualche presenza di ex vedette della televisione nel salone locale.
Insomma 1200 spettatori bisognava portarceli.
Ce l’abbiamo fatta ed il pubblico era estremamente trasversale. Abbiamo visto arrivare l’elite culturale, teatrale e politica di Matosinhos ed Oporto. Uniti a loro erano presenti i pescatori che si sono raccolti come una comunità finalmente considerata e riscattata dalla propria particolare storia. Poi diversi intellettuali, professori, studenti interessati dalla vicenda. C’erano molti di quelli che qui hanno la seconda casa o che ci vengono perchè amano praticare il surf o le immersioni subacquee. Alcuni erano scesi all’U boat 1277 proprio nella mattinata.
Tutti si aspettavano una rievocazione storica ma sono rimasti invece colpiti e affascinati da uno spettacolo teatrale con ottimi interpreti, soluzioni tecniche semplici quanto impressionanti e un carico di emozioni che li ha fatti scattare tutti in piedi in grandi applausi alla fine di ogni rappresentazione. Un anno può essere lungo ma è invece davvero poco per un progetto come questo.
Pensarne e costruirne l’idea, trovarne e scriverne il testo, realizzare le prove e la messa in scena ma soprattutto trovare i partner e convincerli della stranezza della proposta e poi ottenere i permessi e tutte le soluzioni tecniche necessarie.
Ecco perchè pare impossibile essere riusciti a farlo.
Anche se i governi, spesso e volentieri, stanno lavorando per precluderci i sogni, ecco perchè mi piace tenacemente continuare a sognare. Realizzare un tuo sogno personalissimo vuol dire coinvolgere altri, tutti quelli che iniziano a sognarlo con te, e se infine a condividerlo come in questo caso si è davvero in molti quel sogno non è più soltanto tuo ma diventa un noi che continua a far vivere la storia.

Renzo Sicco
Lavra/Portogallo / 4 giugno 2015

* Alleghiamo l’articolo scritto da Gabriele Romagnoli e comparso su LA REPUBBLICA il 3 giugno 2015

L’ULTIMO VIAGGIO DEL SOTTOMARINO NAZISTA IN FUGA NELL’ATLANTICO A GUERRA FINITA

L’INCREDIBILE VICENDA DELL’U-1277 CHE RIEMERSE DAVANTI ALLE COSTE DEL PORTOGALLO UN MESE DOPO LA RESA TEDESCA

di Gabriele Romagnoli

PORTO – Accadde esattamente settant’anni fa, in una notte di luna piena come questa. L’ora: 0 e 50. Le coordinate: 41.09 N, 08.41 W. Località: Cabo do Mundo, davanti alla spiaggia di Angeiras, propaggine della città di Porto, un villaggio di pescatori e per questo svegli a quell’ora. Dall’oceano tutto si aspettavano, tranne i fantasmi. Li videro arrivare su una piccola flotta di canotti: sfiniti e laceri, le divise fradice e sporche. Li guardarono increduli: non avevano mai visto da vicino un soldato nazista e quelli erano quarantasette. Li soccorsero perché questo impone la legge del mare. Li aiutarono a raggiungere la riva.

I naufraghi furono salvati dai pescatori del luogo. Erano arrivati fin li’ per un atto di disobbedienza.

Messi i piedi sulla terraferma, i naufraghi alzarono le braccia in segno di resa. Si consegnarono a chi la guerra non l’aveva mai combattuta, concedendosi l’illusione della neutralità. Era il 3 giugno del 1945. La Germania aveva accettato la disfatta da quasi un mese. Che cosa era successo a quegli ultimi, sfiniti guerrieri affiorati dal mare? Un riflettore si accende su quello stesso litorale, nella stessa notte, settant’anni dopo. In piedi su una barca un attore di nome Rui Spranger proclama, citando Erri De Luca, che “il torto del soldato è la sconfitta”. Alle sue spalle, proiettate su tre grandi vele, scorrono le immagini dei bombardamenti, dei lager, di Norimberga. Il pubblico, composto da residenti di quella che nel corso del tempo è diventata una destinazione turistica, osserva con il medesimo stupore che ebbero genitori e nonni. Una compagnia italiana, Assemblea Teatro, è venuta a riportare in superficie una storia dimenticata, ma che appartiene anche a loro, il suo fondatore, Renzo Sicco, ha una casa proprio qui e qui ha sentito parlare del “sottomarino”. E’ affondato a trecento metri da riva. Se ne accorsero nel ’73: le reti si impigliavano in “qualcosa” e chiamarono un gruppo di subacquei per scoprire in “che cosa”. Riemerse la storia. Maggio ’45, dunque. Il 4, constatato il crollo militare della Germania, l’ammiraglio Donetz diramò l’ordine a tutti i sommergibili di disarmare i siluri, riemergere, issare bandiera nera e consegnarsi. L’U-1277 era uno degli ultimi. Costruito alla fine della guerra, era entrato in acque ormai torbide da un anno. Pesava 871 tonnellate. Il serbatoio poteva contenerne 113 di benzina. Scendeva fino a 180 metri di profondità in 25 secondi. A bordo c’erano 47 uomini di cui 29 marinai, 10 caporali, 4 con il grado di sergente e 4 ufficiali. Avevano età comprese tra i 18 e i 20, tranne il comandante, il tenente di vascello Peter Stever, che ne aveva 27. La loro prima e ultima avventura era iniziata il 22 aprile da Bergen. Solo dopo la partenza era stata aperta la busta sigillata con le istruzioni: dirigersi verso il canale della Manica e affrontare la flotta inglese. “Missione per andare in cielo”, un nome in codice non troppo enigmatico. Su 40mila soldati tedeschi impiegati negli U-Boot 30mila sono morti. Poco dopo, il contrordine: è finita, fate rotta su Kiel e arrendetevi. Il tenente Stever spense la radio, guardò gli altri ufficiali. Kiel significava morte certa, i sovietici che la presidiavano non avrebbero avuto pietà. Abbassò lo sguardo sulle carte nautiche. Con l’indice puntò la loro posizione,poi lo fece scorrere, a occidente, fino a Vigo, alla Spagna franchista. Lì, lo batté e si fermò. Risollevò la testa. Gli altri annuirono. Avevano carburante e vettovaglie, ma un solo bagno disponibile, nessuna doccia, un cambio di biancheria. In un sottomarino c’è la stessa temperatura del mare e quello del nord è gelido. Spensero la strumentazione per non essere intercettati. Navigarono con le mappe e l’istinto. Quasi un mese nella pancia di una balena d’acciaio nella pancia del mare: avevano perso e si erano persi. Difficile immaginare una simbologia più forte per la sconfitta: non ti lascia niente, né una causa, né un senso. Non sei più da nessuna parte, nemmeno dalla tua: per la Germania Stever e i suoi uomini era disertori, per gli inglesi che li cercavano erano ancora nemici. Entrambi imputavano loro la colpa della disobbedienza. Sbagliarono approdo, ma di poco: Porto è a poco più di cento chilometri in linea d’aria. Quando videro la costa il tenente fece uscire le scialuppe e rimase a bordo con quattro uomini. Diede l’ordine di affondare il sommergibile, che oggi è ancora lì, adagiato e coperto di anemoni bianchi. Ne uscì a riveder le stelle dopo trenta notti. Rischiarati dalla luna piena e pallidi com’erano, lui e gli altri parvero davvero spettri. I pescatori li sfamarono nelle loro case, con pesce e patate. Fu avvertita la Guardia Fiscal, il cui responsabile, Rudolfo Mesquita, aveva lo stesso nome del nipote che gli succeduto e ha procurato i permessi per lo spettacolo “degli italiani”, sul pubblico lungomare. Ricorda ancora “la leggenda del nonno e dei nazisti spiaggiati”.

Ora il mistero dell’U-Boot è stato messo in scena da una compagnia teatrale italiana

Li chiusero in un vicino castello e poi li spedirono a Lisbona dove li presero in consegna gli inglesi. Rimasero prigionieri di guerra fino al ’47. Peter Stever più a lungo, condannato per l’affondamento dell’U-Boot 1277. Trent’anni fa, nel quarantesimo anniversario, una dozzina di loro si è ritrovata qui, per una rimpatriata a cena. Settant’anni dopo, senza sopravvissuti, questo spettacolo. “Il punto non è rievocare – dice Renzo Sicco mentre riarrotola le vele – ma riflettere. Sul dovere dell’accoglienza, sulle conseguenze della sconfitta”. E sul fatto che, nell’ora più buia, il torto del soldato è l’obbedienza e nel suo contrario c’è la salvezza, per lui e per tutti.

La traduzione in lingua portoghese:

É com gosto que lhe fazemos chegar o artigo publicado no “La Repubblica”, segundo quotidiano em Itália, em 3 de junho de 2015, assinado pelo jornalista internacional Gabriele Romagnoli

A última viagem do submarino nazi em fuga pelo Atlântico um mês após o fim da guerra

Aconteceu exatamente há 70 anos, numa noite de lua cheia como esta. A hora: 0h50. As coordenadas: 41,09N 8,41W. O local: Cabo do Mundo, em frente à praia de Angeiras, próximo da cidade do Porto. Uma aldeia de pescadores, por isso despertos àquela hora, que do oceano esperavam tudo, menos os fantasmas. Viram-nos chegar numa pequena frota de botes de salvamento, esgotados, maltrapilhos, de divisas molhadas e sujas. Olhavam-nos incrédulos: jamais haviam visto um soldado nazi e ali estavam quarenta e sete. Socorreram-nos porque essa é a lei do mar. Ajudaram estes soldados a alcançar a costa, a colocar o pé em terra firme, que por fim elevaram os braços em sinal de rendição. Entregaram-se a quem não combateu nesta guerra, concedendo-se uma ilusão de neutralidade. Era 3 de junho de 1945. A Alemanha tinha-se rendido há um mês. O que tinha acontecido àqueles guerreiros exaustos que emergiam do mar?
Um projetor acende-se naquele mesmo litoral, na mesma noite, setenta anos depois. De pé sobre um barco, um ator de nome Rui Spranger proclama que, citando Erri de Luca, “o erro do soldado é a derrota”. Atrás de si, projetadas sobre três grandes velas, fluem imagens de bombardeamentos, dos “lager” e dos processos de Nuremberga. O público, composto de residentes daquela terra que no curso dos anos se converteu num destino turístico, observa com a mesma estupefação dos seus pais. A companhia italiana, Assemblea Teatro, trás à superfície uma história esquecida, mas que também lhes pertence. O seu fundador, Renzo Sicco, possui uma casa aqui e ouviu falar do “submarino”. Encontra-se a algumas centenas de metros da costa. Aperceberam-se da sua posição na década de setenta: as redes prendiam-se em “alguma coisa”. Alguns submarinistas acabaram por descobrir “que coisa”. Reemergiu a história.
Maio de 1945, após a rendição militar da Alemanha, o Almirante Dönitz ordenou a todos os submarinos de desarmar os torpedos, emergir, hastear a bandeira negra e render-se. O U-1277 era um dos últimos. Construído no fim da guerra, foi lançado em águas já turvas para a Alemanha. Pesava 871 toneladas, os reservatórios podiam conter 113 de carburante e mergulhava a 180m de profundidade em 25 segundos. A bordo 47 homens, 29 marinheiros, 10 cabos, 4 sargentos e 4 oficiais. As suas idades compreendidas entre os 18 e os 20 anos, exceto o comandante Peter Stever que tinha 27.
A sua primeira e última aventura iniciou-se a 22 de abril em Bergen. Apenas após a partida foi aberto o envelope selado com as ordens: dirigir-se para o Canal da Mancha e enfrentar a frota inglesa. “Missão de ida para o céu”, um nome de código não muito enigmático. De 40 mil soldados enviados nos U-boot 30 mil morreram. Pouco depois a contraordem: acabou, façam rota para Kiel e rendam-se. O tenente Stever desligou o rádio, olhou os outros oficiais. Kiel significava morte certa, os soviéticos que a tomaram não teriam piedade. Baixou os olhos sobre a carta náutica. Com o indicador assinalou a sua posição, deslizou-o para ocidente até Vigo, na Espanha franquista. Ali, bate com o dedo e pára. Eleva o olhar, os restantes concordam. Tinham carburante e alimentos, mas apenas uma casa de banho disponível, nenhum duche, uma única muda de roupa interior. Num submarino a temperatura é a mesma do oceano e o do norte é gélido. Dispensaram os instrumentos de navegação para não serem intercetados. Navegaram com os mapas e o instinto.
Quase um mês na barriga de uma baleia de aço, na barriga do mar: tinham perdido e estavam perdidos. É difícil imaginar uma representação mais forte da derrota: não te deixa nada, nem uma causa, nem um sentido. Não estás mais de nenhum lado, nem mesmo do teu: para a Alemanha, Stever e os seus homens eram desertores, para os ingleses que os procuravam, eram ainda inimigos. Tanto uns como os outros acusavam-nos de desobediência. Erraram o destino, mas por pouco: o Porto é a pouco mais de 100km em linha reta. Quando viram a costa o tenente fez sair os botes e permaneceu a bordo com quatro homens. Ordenou o afundamento do submarino, que ainda ali repousa, revestido de anémonas brancas. Emergiu após trinta noites para ver as estrelas. Iluminados pela lua cheia, pálidos como estavam, Stever e os seus homens seriam como espetros. Os pescadores tiraram-lhes a fome nas suas casas, com peixe e batatas. Foi alertada a Guarda Fiscal, cujo responsável, Rodolfo Mesquita, tinha o mesmo nome do neto que lhe sucedeu e procurou licenças para o espetáculo “dos italianos” numa zona pública costeira. Recorda ainda a “lenda do avô e dos nazis desembarcados”. Foram prisioneiros num forte próximo e depois enviados para Lisboa onde foram entregues aos ingleses. Permaneceram prisioneiros até 1947. Peter Stever por mais tempo, condenado pelo afundamento do U-boot 1277. Há trinta anos, no quadragésimo aniversário, uma dúzia deles reencontrou-se aqui para um jantar de recordação. Setenta anos depois, já sem sobreviventes, acontece este espetáculo.
“O objetivo não é recriar – afirma Renzo Sicco – mas refletir sobre o dever de acolhimento e as consequências da guerra.” E sobre o facto de que nas horas mais escuras, o erro do soldado é a obediência e que no seu contrário reside a salvação, para ele e para todos.

Gabriele Romagnoli

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