La piccola piazza di Jelenia Gora è bellissima e mi ricorda le città dell'Emilia ed anche La Rochelle sulla costa atlantica francese sopra Bordeaux. "Viaggiando le differenze si perdono e ogni città va somigliando a ogni altra città". Quante volte le parole di Calvino ci hanno accompagnato nei nostri viaggi, le sue "città invisibili" si sono via via piantate sotto la pelle fino a quasi farci credere le avessimo scritte noi in questo peregrinare mai stanco, di paese in paese, alla ricerca di sempre nuove sensazioni. Qui in questo bar a consumare il lungo caffè polacco che bisogna lasciar sedimentare nella profonda tazza per evitare di berne i fondi sabbiosi, ascolto quasi in una quadratura del cerchio la musica italiana del tempo che fu, "volare", "o mia bella mora no non mi lasciare non mi voglio rovinare" in questo mito d'Italia, pizza, spaghetti, mamma e Armani che ovunque ci segue. In questa fede e passione per il nostro paese che tanto ce lo fa amare nel momento in cui le insufficienze o le false prosopopee degli altri stati ci diventano evidenti nell'esperienza del reale. Difficile, certo, trovare mediazioni superiori, nuove aperture, dirompenti eccitanti sbocchi alle ambizioni del 2000. Le ideologie sono crollate con il loro insieme di certezze e di illusioni, ciò che cerchiamo e ciò che abbiamo stanno ormai sempre così vicini da sembrare un gioco sottile da baraccone delle illusioni e in arte, come dice con feroce ironia Fellini, "tutto è già stato detto, tutto è già scritto che altro si può fare che altro si può dire che non sia già stato detto". L'unico tentativo che ci rimane possibile è l'autenticità, il perseguire una nostra cifra stilistica prima interiore forse, che diventi segno tangibile per chiunque ci guarda. Forse questo incredibile viaggiare sempre pieni di desiderio, questo desiderio di lavorare sempre pieno di energia, questa energia di vita sempre piena di ricerca, questa ricerca assetata sempre ricca di desideri è il motore verso questa direzione. Tanti sono i teatri, le tendenze, le poetiche, i filoni, i gruppi, ma a frequentarli come per le città, tutto li mischia e li confonde. E così noi cerchiamo oggi quelle architetture e quelle planimetrie che ci rendano, per un attimo interminabile, Parigi, Mosca o Madrid. Renzo Sicco, agosto 1988
In fra li casi de la vita.
Tutti noi abbiamo iniziato dal teatro di strada, dal teatro politico. La vecchia Assemblea Teatro dei Salza, Ronchetta, Vigliani, Ravera rappresentava nell'area torinese il gruppo leader. Con le 36 ore contro i manicomi, gli interventi contro le leggi speciali e il fanfascismo si erano ricevuti riconoscimenti a livello nazionale. Io, Guido, Paolo, Marina e Giorgio nel gruppo degli Ambulanti, più giovani generazionalmente, percorrevamo, alla metà degli anni '70, quella medesima strada che vedeva svilupparsi nel teatro di denuncia, nel teatro di impegno sociale, la via che Dario Fo aveva indicato per tanti come noi. Un teatro che tornasse alle origini e soprattutto al popolo, uscendo dalle cattedrali dei Teatri Stabili per riparlare un linguaggio semplice che arrivasse alla gente, ai proletari "derubati dei processi culturali". Così i nostri spettacoli erano pensati per la strada, per i cortili delle case, delle fabbriche e avvenivano (già allora) nei posti più insoliti.Chi come Bobo viene da altri percorsi di lavoro ha scandito comunque la storia del teatro di protesta con quella "leggenda" del teatro degli anni '70, chiamata "Living".
Noi avevamo come centro d'azione il quartiere dei Mercati Generali e i nostri spettacoli affrontavano i temi della casa, del verde dei prezzi che erano poi gli stessi delle nostre rivendicazioni militanti. Il nostro far teatro si confondeva così con le nostre azioni politiche per migliorare le condizioni di vita degli abitanti le case popolari e degli anziani rinchiusi in quel ricovero "lager" chiamato "Poveri vecchi", e anche per qualificare l'insegnamento nella scuola. Attorno a questa intensa attività avevamo riunito insegnanti, studenti, massaie, genitori, operai e intellettuali e per alcuni anni le più significative esperienze di autogestione partivano da "mercati generali". Così le autoriduzioni delle bollette del telefono, i mercatini rossi, i comitati scuola, i coordinamenti dei militari in divisa fino al primo consultorio femminista. Attorno a tutto questo un altrettanto intenso programma di attività culturale finalmente decentrato contro le logiche che volevano la cultura solo ed esclusivamente per chi accedeva al centro della città. Noi, ad organizzare e gestire cineforum e feste, un giorno a chiederci se non fosse il caso di trasformarci in qualche modo in produttori. E così un primo spettacolo. Il divertimento fin d'allora e il successo delle prime azioni hanno fatto il resto, sino a che Assemblea Teatro ci ha assorbito al suo interno.Un po' per bisogno di linfa nuova, un po' per percorsi paralleli ci siamo trovati da amatori del teatro ad essere professionisti.Tutto è accaduto in una decina di giorni e non ci sono state remore a lasciare i precedenti sicuri lavori per buttarsi in un'avventura dalle mille incognite. Ma il teatro è pur ben una pazzia del cuore e non della mente e non poteva essere altrimenti.Dopo alcuni anni dedicati all'ormai morente animazione creativa della "giunta di sinistra" quel progetto di salto sul piano spettacolare che in quel periodo era cresciuto in noi finalmente prese forma con "In fra li casi...".Avevamo le idee chiare su alcune cose. Tra l'Assemblea e il Teatro quello che volevano far crescere era il teatro. La dimensione politica non veniva rinnegata, ma ci era chiaro che il messaggio non doveva più schiacciare la componente poetica e linguistica.Al tempo stesso ci sembrava che l'indicazione di Dario Fo di riportare i giullari nelle strade, che fino ad allora ci aveva affascinato, fosse di colpo invecchiata. Di fronte alla prepotenza drammaticamente "spettacolare" del terrorismo, un attore truccato in una strada ci pareva sinceramente patetico.Il teatro di strada era invecchiato di colpo e per di più iniziava a sortire effetti di paura o di fastidio che erano esattamente opposti agli scopi di partenza.Qualcosa non funzionava più e noi ad interrogarci su come poter continuare a far spettacolo in strada e come al tempo stesso fascinare e dare dignità ad un teatro che i teatranti deridevano e che i critici non consideravano neppure."In fra li casi..." nasce dunque da questo intrecciarsi turbinoso di quesiti.Così i trampoli non sono casuali ma rispondono ad una scelta di dimensioni, di competizione contro le misure della città.
Infatti un attore in mezzo a una strada è malinconico per come può passare inosservato, travolto da palazzi, dalle macchine e dalle centinaia di nervose "formiche"; mentre un diavolo di 4 metri è già più difficilmente evitabile alla vista ed inoltre la sua altezza obbliga a rivedere il cielo e a trasformare i palazzi in semplici sfondi.Così anche il rock non è casuale, un mimo disperso è afflitto nell'incapacità di catturare chi è travolto dal ritmo vorticoso della città, ma dei potenti amplificatori possono vincere i rumori delle auto e del fluire quotidiano ricreando un'oasi di poesia dove per un attimo si possa vivere il rischio di perdersi per ritrovarsi in un mondo di sensazioni inusuali."In fra li casi..." nasce così semplicemente attorno a queste due intuizioni e mescola il bisogno di cercare un linguaggio nuovo attraverso cui comunicare, un linguaggio più maturo e più giovane al tempo stesso, un linguaggio che si rivolga a ciò che di più attuale si muove nel presente parlando della tradizione, una ricerca nelle radici della nostra cultura per dar forza di crescita alle nostre nuove tenere radici. Il punto di partenza dell'elaborazione teorica sono i racconti popolari, la tradizione orale dell'area del mediterraneo, le origini del teatro, le sue manifestazioni rituali e carnascialesche. Il risultato definitivo di un work in progress durato circa due anni, lo spettacolo viene infatti più volte rielaborato ed ampliato e alla fine è esattamente quello che ci eravamo prefissi E molto di più.
"In fra li casi..." può essere considerato un prodotto "di strada", "di piazza" ma con tutta la dignità di un lavoro teatrale di sala e nella sua storia vivrà con pari forza le due dimensioni. Ma soprattutto "In fra li casi..." è uno spettacolo vincente per la sua capacità di comunicare a tutto il pubblico, offrendosi con differenti livelli di lettura tanto al semplice popolano quanto all'intellettuale più esigente, tanto al vecchio e al suo patrimonio culturale quanto al bambino e al suo desiderio di alfabeti nuovi. La forza di "In fra li casi..." sta in quel mondo di emozioni che la sua pittura archetipa e onirica invia allo spettatore con onde successive che non travolgono, ma assorbono l'animo sino a concedergli ogni possibile percorso. Di fronte a "In fra li casi..." rimango sempre affascinato dal gioco delle dimensioni, dal fascino surrealista delle sue figure allungate.Rimango ancora di più sconcertato dalla sua sempre eterna giovinezza, come un Dorian Gray della scena e dalla nostra gioia nel reinventarlo nella notte, in questa notte, in questa stupenda piazza dell'acqua calda ad Acqui Terme e in ogni notte nelle mille e una notte di questi 10 anni e non mi chiedo altro perché so che senza Paolo diavolo, Guido fauno e Marina donna, non sarebbe più la stessa inimitabile creatura.Renzo Sicco, luglio 1988
L'acqua era veramente troppa anche per gente abituata alla pioggia
Il paesaggio attorno a Krakcow non l'abbiamo visto. Gli ultimi 50 km li abbiamo percorsi sotto un nubifragio torrenziale. Uno di quei momenti in cui terra e cielo sono un'unica massa d'acqua. Il tunnel tra cielo e autostrada è rischiarato soltanto dal susseguirsi delle esplosioni dei lampi. Il muro d'acqua che ci circonda è terrificante e ricorda quando a fine agosto dell'83 fuggivamo da Bilbao mentre l'alluvione ci inseguiva e i ponti su cui passavamo, ad uno ad uno venivano chiusi e alcuni erano poi addirittura travolti dalla piena dei fiumi e dei detriti. Sui bordi dell'autostrada l'acqua scendeva a cascate, come adesso.Bilbao unitamente a quest'immagine è rimasta nella nostra memoria per l' "In fra li casi..." più bello della nostra storia. Uno spettacolo da pelle d'oca.Eravamo quasi alla fine di un tour di un mese che l'agenzia Anexa ci aveva programmato su e giù per la Spagna dal teatro romano di Malaga, alla magnifica tenda di Gijon, dal parco di Zaragoza, al palasport di Salamanca.Ogni sera lo spettacolo era un trionfo e nelle cittadine dove eravamo programmati per più sere la leggenda di "In fra li casi..." faceva sì che agli esauriti si ripetessero, fuori dai luoghi di programmazione dello spettacolo, code di persone disposte a perdere la serata nel tentativo di trovare un posto rimasto vuoto per una defezione dell'ultima ora.A Bilbao eravamo programmati per la Semana Grande, settimana in cui tutte le attività chiudono per dar spazio a las fiestas; grande popolo gli spagnoli che negli anni '80 ha vissuto la "dolce vita", attesa per anni, ma alla fine esplosa.Eravamo programmati sul grande palco coperto di Placa Major alle 2.30 di notte. Il palco era notevole, così come bella era la piazza e la città. L'Hotel dove eravamo ospitati poi, era degno di Rita Hayworth o dei Principi di Monaco, talmente era sontuoso e affascinante nei suoi arredi e velluti.Unico neo le pesanti nuvole nere che dal tardo pomeriggio avrebbero iniziato a scaricarsi in modo torrenziale.Alla mezza ci aggiravamo sconsolati sul palco convinti più che mai che lo spettacolo sarebbe saltato. Gli organizzatori all'una ci convinsero che invece era il caso di andare al trucco e che il pubblico sarebbe venuto. "La gente qui in questa terra è abituata alla pioggia" ci dicevano. Noi guardavamo attraverso il fascio bianco del proiettore quell'impressionante diluvio e non potevamo crederci.Infatti alle due, terminato il trucco e messi i trampoli la piazza continuava a restare deserta, tranne qualche centinaio di persone sotto i portici e una cinquantina di sconsiderati con ombrelli sotto il palco.Alle due e dieci partivano i suoni della campana che davano a me, Dario e Keita il segnale di entrata in scena.Da sempre lo spettacolo inizia sulla figura del vecchio che di spalle lentamente si gira e si offre al pubblico per raccontare la sua storia millenaria. Da sempre interpreto questo personaggio e so che passano circa due minuti prima che le luci cessino di essere accecanti e mi permettano di avanzare verso il pubblico vedendolo.A Bilbao rimasi folgorato. In quei due minuti la piazza si era completamente riempita. Non chiedeteci come, per noi è sempre rimasto un mistero, ma circa 3000 persone, senza alcun ombrello aperto, ci stavano guardando sotto un nubifragio pauroso.Mai come allora ci fu chiara la speciale magia del teatro, quella contemporaneità senza schermi o barriere che rende compartecipi pubblico e attori.Quei mille fili invisibili che partono e ritornano e si scambiano e si danno.Un'energia paurosa ci esplose addosso e credo che Bilbao abbia mutato per sempre la qualità del nostro lavoro, del nostro darci al pubblico senza riserve.Alle tre e quarantacinque, "In fra li casi..." terminava con il suono dell'ultima campana. Un applauso bagnato come un'onda ci avvolgeva. Non eravamo stanchi, come esserlo?Facendoci aiutare dagli organizzatori, scendemmo dal palco in mezzo alla piazza, in mezzo alla gente che, sotto la pioggia ugualmente implacabile, non dava segno di volersene andare. Iniziammo a ballare e ballammo sino alle cinque. Poi smontammo lo spettacolo e alle sette, terminato tutto, tranne la pioggia, la nostra eccitazione era così grande che eravamo convinti che mai più avremmo dormito.Invece mentre la tempesta continuava a schiaffeggiare la bella Bilbao e a soffocare così la Semana Grande, a tramutare la festa in dolore e morte, fummo svegliati da José, il nostro giovane road-manager. La situazione era critica, bisognava fuggire. Santander dove avremmo dovuto replicare la sera era allagata e l'acqua, alta più di un metro, ricopriva già il nostro palco.L'acqua era veramente troppa anche per quella gente abituata alla pioggia.Non ci restava che puntare su Barcellona e sperare di farcela. Renzo Sicco, agosto 1988
People have the power.
Fare danzare un'intera piazza di giovani polacchi gridando "People have the power", il tutto cantato da un'americana ex sacerdotessa del nichilismo e del "no future" punk quale Patty Smith, mi è sembrato ieri sera qualcosa veramente ai confini della realtà.Eppure, finito "In fra li casi..." il pubblico era impazzito e come capita in questi casi una rapida occhiata a Giò, il tecnico, gli ha fatto capire che era il caso di continuare e approfittare di quest'onda di energia positiva che lo spettacolo aveva provocato per trasformarla in festa. Così è partita la samba-rock che da alcuni anni è seguito ufficiale in casi del genere e poi quel "Let's work" di Jagger che è stato il bis nella tournée messicana poi ancora, visto che nessuno voleva andarsene, per caso la prima cassetta disponibile ed ecco questo brano della Smith tornata dopo nove anni di silenzio a cantare i suoi poemi.E così la nostra proverbiale "irriverenza" è stata totale, in questo paese intriso di fede cattolica abbiamo portato il nostro demonio, i suoi sabba e le sue capitalistiche rivoluzioni tecnologiche e in questo paese "infetto" di Solidarnosc abbiamo offerto spazio per gridare che il popolo è potere. E non vi paia poco, qui la gente sussurra a mezza voce la sua simpatia per Walesa e ben poco puoi strappare dalle bocche per capire quel che accade. Forse a Danzica e a Cracovia la coscienza è più ostentata ma qui fra queste splendide vallate di frontiera, dove la natura è alla vista meravigliosa ma nei fatti inquinata e morente per gli scarichi illeciti della Repubblica Democratica Tedesca, qui un silenzio "partigiano" scandisce il cambiamento. Noi con le nostre antenne sempre con la ricevente accesa da anni ascoltiamo il mondo dove cambia. Oggi qui all'Est e prima in Spagna a veder Franco sparire o in Portogallo a intervistare con Luciana Castellina "Otelo" prima che una artificiosa montatura lo facesse a forza terrorista, come adesso per il Sofri nostrano. Là per seppellire i garofani nei fucili, da noi per sotterrare per sempre, con l'esempio, un '68 già deprofundizzato nelle migliaia di parole gettate con dibattiti, articoli, servizi televisivi in questo anno di "celebrazioni".E allora ben venga che in una notte d'agosto, mese stanco, dove le vacanze sono l'unico centro motore, si gridi "People have the power" senza alcuna eccessiva convinzione marxista e neanche per un nuovo egualitario rigore cattolico ma più semplicemente come esorcismo a non dover rimettere in scena tra poche stagioni il "1984" di Owell, a quel punto come cronaca di un destino annunciato.People have the power Patty, People have the power Adriano, chi l'avrebbe mai detto che il ribellismo americano che ci faceva sorridere nei primi anni '70 sarebbe rimasto più saldo e vitale dei nostri oceanici movimenti.E che oggi proprio i pacati inglesi quali Sting o Gabriel diventino bandiere per Mandela e per il Sud America dimenticato.Bisogna ancora rifletterci? People have the power.Renzo Sicco, agosto 1988
Una lettera dal carcere
Questa lettera ci è giunta all'inizio degli anni '70 dopo una serie di rappresentazioni realizzate all'interno di case circondariali del nostro paese.
Per godere di ciò che è propriamente creativo nella rappresentazione teatrale occorre vivere concretamente l'evento; esserci, di fronte e in mezzo all'azione teatrale reale. Copione e descrizione sono in sé stessi privi di questa possibilità, che è meno che mai possibile nei depliant di presentazione di questo o quel lavoro. Tuttavia, almeno nel caso dei depliant della "cooperativa assemblea teatro" di Torino che illustrano lo spettacolo "in fra li casi..." emergono con forza e trasparenza i presupposti culturali di riferimento del lavoro, e un ben determinato nesso tra teatro e tempo. Un nesso che colloca in un tempo storico "magico" questa compagnia e dà ad essa molte valenze della magia di quel tempo, malgrado.. il "1984" più o meno orweliano, con tutti i suoi raggelanti grigiori.Sono gli echi di una vera e propria "cultura di libertà", di quel mancato neo-rinascimento che furono gli anni '60-'70 da San Francisco a Praga, da Oslo a Palermo. Di coloro che essendo stati ciò, oggi ancora sono, sia pure diversamente, riferimento senza nuova alternativa per chi libertà va cercando, e quindi per la continuazione della storia della libertà.L'arte degli anni orweliani è replica semiclandestina di quell'arte. E ne veicola, vergognandosene, gli echi oppure tace.La "cooperativa assemblea teatro", sembra non vergognarsi d'essere eco di quella "cultura della libertà" e qualcosa di più... sfacciata pretesa di permanenza, di presenza innovata ed efficace, continuità sovversiva di una proposta altra e quindi proliferazione di tensioni trasformatrici dello "stato di stasi presente". Sembra e forse è troppo giovane per indurre sospetti di nostalgia per altro fugati dal suo proprio nuovo e creativo nel senso della continuità di un'onda lunga e aperta... appunto libera. "... l'arte del raccontare storie vere o fantastiche..." dicono i nostri "delle veglie o dei racconti di strada, delle storie gridate di porta in porta", precisano. E di quelle raccontate nelle celle delle galere e nelle lunghe traduzioni da un carcere all'altro, aggiungiamo noi. Perché anche questo è raccontare l'essere dei mondi reali e irreali nell'umano. Anche questa (e da secoli) è narrazione popolare che vorrebbe gridare i suoi casi "in fra li casi...". Libertà di poter essere sé stessi con altri sé stessi e liberi, sofferta, vissuta e sognata con polsi incatenati e i ferri alle finestre.C'è. Può essere raccontata. E non è certo una libertà minuta o gracile quella sognata con le mani incatenate; non è una libertà "piena-di-buon-senso" che si "accontenta". Forse una libertà reclusa anche nei sogni; una libertà che è vietato anche sognare.Ma non può essere no, nostalgia dell'immediata espressività infantile - della libertà dell'infanzia - e neppure dell'infanzia della libertà. Si raccontano storie, ed esse sono nel tempo, sono il tempo: successione irreversibile di "prima" e "poi"; irreversibilità senza la quale non ci sarebbe né comunicazione né racconto. Anche il racconto teatrale è irreversibile; la sua "eternità" sta nel proliferare in racconti che al filo del "prima" aggiungono, ognuno fedele, la perla del "poi".Euripide è "eterno" perché al suo filo tragico può essere aggiunta la perla unica e irripetibile del senso nuovo di una rappresentazione vissuta ora. A maggior ragione l' "eternità" della proliferante moltitudine della tradizione popolare, dell'arte sua propria in divenire del raccontare, il divenire: la storia, non importa qui di chi o di cosa, né il come e il perché o il dove se non in funzione del quando: nel "poi" dopo il "prima", ovvero nella differenza tra i tempi che è mutamento di spazi e di forme, movimento, vita, divenire, storia... e racconto della storia, appunto. "In fra li casi de la vita e le magie de' cieli libertà vo' cercando", titolo guida? Immensa ambizione! Escatologica addirittura. Perciò profondamente umana, socialmente e in ogni persona. Ciò che è cercato è niente meno che il Senso dell'Essere, e quindi dell'esistere. Altro che teatro! E' l'ambizione assoluta del sapere di ogni sapere, anima del filosofare. Raccontarlo sulla scena è raccontare il Mondo nel Tempo; raccontare un divenire.Può essere. Si può raccontare... aprendo il raccontare stesso al divenire, la scena al Mondo. Un atto unico senza conclusione.Allora, la libertà cercata fra le magie dei cieli e i casi della vita potrebbe ben decidere d'essere anche lei... sulla scena. Trampoli e volti degli attori... un'inquieta soddisfazione, ovvero ancora innanzi e in alto. Che strane fotografie, il profilo di una donna sulla verticale di una serie di balconi; un diavolo sui trampoli con un'espressione di accattivante innocenza.Come sarebbero... scavalcando coi trampoli certi altri muri?
Claudio Carbone
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